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L'ANNUNCIO DI GESÙ CRISTO NELL'AMAZZONIA ORIENTALE
Aspetti storici e prospettive pastorali         Indice


Cap. V

RIFLESSIONE SU: "CHI È GESÙ PER TE"

V.1 Analisi delle risposte

V.2 Considerazioni

 

V.1. Analisi delle risposte

Per molti barboni Gesù è riflesso nei loro stessi visi, nelle esperienze e traspare anche nelle persone buone e caritatevoli, che accolgono e aiutano. Alcune volte anche in quelli che li disprezzano.

Parlare di Gesù è parlare del Padre (Dio). Egli è il Salvatore. Sono risposte semplici. La conoscenza può non essere sufficiente a fargli sperimentare una vita in pienezza. C'è chi vi ha trovato la forza per sopportare il peso di una vita solitaria e difficile. Non sono risposte teologiche, sono esperienze di vita e in esse la presenza di Dio e del Salvatore sono realtà.

Gesù per gli indios kaiapos è il lamento e la necessità di organizzazione per continuare a vivere. Sanno che il loro gruppo è emarginato. Credono in un diverso modo di vivere. È cosi che identificano Cristo. Egli è parte del cammino, del riconoscimento sociale. Hanno risposte politiche ed emerge in alcuni casi un senso di sfiducia. La loro forma di vedere Gesù è da rapportarsi ad alcune credenze cristiane non dichiarate.

Sono invece molto articolate le risposte date dagli esponenti di pastorali, movimenti e gruppi cattolici.. In molti casi le affermazioni, scaturite dalla mente e dal cuore di cristiani, sono i fondamenti della fede insegnati nella catechesi e nella lettura del Vangelo.

In un gruppo di aderenti alla S.Vincenzo emerge l'applicazione del Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 25, 31-46, sul giudizio finale. Questa comprensione esige nei seguaci una cura speciale ai più deboli e indifesi.

Anche per i membri della Legione di Maria, Gesù si fa presente nelle persone sfavorite: il povero, il malato, l'escluso, quelli che sono lasciati fuori dalla società ed è al contempo la sicurezza di quelli che lo annunciano.

Si osserva, nelle asserzioni rese dai carismatici, un Dio che sembra impossibile da descriversi. Gesù è un Dio intimo e molto trascendente, un Dio personale che risolve i problemi.

Dagli operatori dell'infanzia missionaria era d'altro lato 'prevista' una rappresentazione di Gesù come di colui che annunzia il Regno di Dio e che impegna i suoi seguaci a fare lo stesso, ma le parole degli intervistati non corrispondono alle aspettative. Egli è personale. Per quanto riguarda l'Apostolato della preghiera, il Figlio è descritto come rifugio, guida, intercessore, conforto, ausilio nella vita.

Secondo quanto espresso dai neocatecumali, Gesù è un essere perfetto in opere e azioni. Permette la sofferenza che ci fa diventare simile a Lui. Ci insegna la necessità della conversione quotidiana. Solo al termine di un tale cammino si può dire di amare Gesù.

Il Cristo, per i focolarini, è fondamentalmente colui che li ha riscattati dal profondo dell'abisso, che ha usato la misericordia verso di loro perché si erano persi e adesso conduce le loro vite. È al contempo colui che chiede alla persona di tenerlo sempre presso di sé. È un esempio di amore.

Tra gli studenti del corso di filosofia dell'istituto regionale per la formazione dei presbiteri, primeggia la concezione di scelta, nascita e missione del Figlio di Dio, nato da una donna. Gesù è l'essere divino che diventò uomo per realizzare una missione e predicare un nuovo esempio di vita, che deve essere seguito per raggiungere la felicità.

Quello che richiama l'attenzione, nell'ambito delle dichiarazioni rese dagli attivisti "Sem terra", è che le risposte sono dirette date in maggioranza da giovani che cercano le parole come: tutto, Dio vivo, il capo di cui tutto dipende, anche se è diventato uomo non può essere limitato dentro dei nostri ideali. Per una di loro, invece, Gesù è qualcosa di inesistente, creato da uomini che volevano manipolare gli altri.

Gli agenti della pastorale della gioventù preferiscono guardare il volto e poi descrivere Gesù mentre i giovani lo indicano come unico bene da cercare. È il modello che giustifica una scelta. In un primo momento le risposte si presentono come l'estasi di una scoperta. Ciò può essere più o meno approfondito a seconda delle persone che compariranno lungo il cammino di fede.

Il Cristo è, per i giovani impegnati in un cammino vocazionale, una persona divina che orienta, indica il cammino del Padre e le forme d'amore per i fratelli. È la presenza di Dio Padre, tra noi.

Tra i leader della pastorale bambini Gesù è il povero e sta nel volto dei più giovani seguiti dagli agenti pastorali, da madri sofferenti e dagli altri operatori di settore. Sta nelle famiglie e, in particolare, in coloro che necessitano dell'indispensabile per vivere, nei poveri di beni materiali e/o spirituali: è l'esperienza che dice a loro chi è Gesù.
La percezione delle giovani aderenti alle CEBs è di un Gesù armonico con la realtà delle loro vite. È la comunità nelle sue difficoltà e nella lotta per migliorare il livello di vita. Per le anziane incarna un Dio più sociale, educatore, compagno, motivatore che agisce in tutti e che lotta insieme a quelli che hanno sete di giustizia. È il volto della propria comunità.

Una discreta omogeneità caratterizza le dichiarazioni degli universitari. Gesù è descritto come il divino che prende corpo per rivelare Dio, un grande rivoluzionario che presenta al mondo un nuovo progetto, un maestro di conoscenza e di insegnamento, un gran leader spirituale. Nella quasi totalità dei casi il Salvatore è collegato al sociale, è colui che è venuto per gli umili, che combatte gli ingiusti.

Analizzando le asserzioni dei mebri delle Chiese protestanti e delle sette, si evidenzia, per quanto riguarda le Assemblee di Dio, un Gesù come il Figlio di Dio che è venuto per salvare, un Dio incarnato nella vita delle persone, che (ad esempio per i carismatici) serve per guidare la vita; un amico, un liberatore. Si vede nuovamente il profilarsi di un Dio personale. È evidente una concezione moralistica della vita, tipica dei protestanti.

Per i seguaci della Chiesa quadrangolare, Cristo è la luce della quale le persone hanno bisogno nella vita. Egli chiede una totale donazione ai suoi seguaci. La loro concezione è molto spiritualistica.

Tra i battisti è colui che salva la persona dalla cattiva strada; si denota un'interpretazione in chiave puramente moralistica mentre per gli avventisti le parole presentano Gesù che è vita, che sta al centro dell'esistenza, è il cuore che batte. Il tutto è concepito in una chiave molto individualistica.

Dalla "Chiesa della grazia" emerge un Cristo vero esempio di forza, umiltà, carità, donazione e amore. È l'Onnipotente che porta salute, amore, sapienza e speranza al cuore, è colui che porta tutto di buono alla vita dell'uomo. È il salvatore del mondo, rivelazione del Padre, il verbo di Dio incarnato, la Parola fatta carne. Questo gruppo non presenta novità in rapporto a Gesù in quanto Salvatore, ma sembra di avvertire uno scollamento tra il pensiero, e cioè in quello che dicono, e l'azione.

Per spiritisti e buddisti il Cristo è uno spirito perfetto, illuminato, di luce, che è venuto con la missione di migliorare l'umanità al pari di altri spiriti hanno visitato il mondo con questa finalità. Gesù qui non presenta caratteristiche assolute, ma merita comunque reverenza.

I politeisti si differenziano dagli spiritisti e si rileva la grandezza di Gesù rispetto all'umanità, ma come lo spiritismo, non rappresenta alcun impegno di vita particolare o rispetto alle altre persone.

Secondo alcuni membri di nuclei familiari spiccano per semplicità, il Figlio è tutto in tutti sebbene nella maggioranza delle volte non vi sia reciprocità in questa forma di amore. Tra i laici che studiano di teologia emergono convinzioni permeate di dottrina a partire della professione di fede. Gesù si colloca come fratello maggiore e si fa un riferimento a Gesù come capo della Chiesa, inviato di Dio. In nessun momento si presenta il Figlio come Colui che è venuto per creare vita nuova a partire dei poveri. Le risposte sono teoriche e personali, non presentano alcuna relazione comunitaria partecipativa di Gesù.

Per i detenuti la visione di Gesù Cristo è di: liberatore, Salvatore, saggio, grande profeta.

Gli operatori dei mass-media hanno espresso considerazioni riflessive e mediate con la dottrina, con l'esperienza di vita e con diversi interrogativi. È l'opzione a Gesù che ci fa vedere gli altri, se stessi e il proprio Dio che trasforma tutte le situazioni di sofferenza e difficoltà.

Cristo, anche per gli insegnanti, è il Salvatore del mondo, il Dio incarnato, la rivelazione del Padre, è il verbo di Dio incarnato, la Parola fatta carne, Dio-uomo, Uomo-Dio, o sia vero Dio e vero uomo, è il Messia, la realizzazione della promessa divina in favore degli uomini.

Più in particolare, per alcuni docenti Gesù è definito a partire da una visione teologica, per altri questa definizione è mediata dall'esperienza ottenuta nella vita, e cioè a partire delle difficoltà personali. Qualcuno lo presenta come il Salvatore del mondo, in quanto Figlio di Dio, ed esempio da seguirsi. Qui c'è una visione dottrinale della fede cattolica che però non coinvolge nessuno con la pratica della giustizia nel mondo. Egli è venuto perché è stato promesso da Dio.

Generalmente Gesù è visto come una proposta personale, un Dio che è venuto per servire da prototipo di comportamenti corretti nella vita, e pochi fanno riferimento alla missione di Gesù Cristo come inviato del Padre per la conversione delle persone e della società al progetto di vita in abbondanza per tutti.
Le risposte presentano Gesù Cristo come concetti o esperienze della vita, che però denotano poi, nella vita quotidiana, quasi uno scollamento tra ciò che si dice e ciò che si vive.

 

V.2. Considerazioni

La testimonianza di Giovanni Battista ci presenta un ritratto ben particolare di Gesù Cristo. Egli è "l'agnello di Dio", il Servo che offre la salvezza ai popoli, il compimento delle profezie dell'Antico Testamento, Colui che si offre liberamente per togliere dal mondo ogni peccato di incredulità e di odio.

E Giovanni dà la testimonianza inedita che Gesù è il Figlio di Dio. Infatti dice "in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete" ( Gv. 1,26b).

Uno degli elementi che più emerge nelle categorie sociali che più soffrono è un concetto di Dio che può essere positivamente utilizzato per la loro salvezza. Dio, quindi, è tutto per loro. Non ci sono risposte dottrinali o razionali, in un certo senso. È un Dio che emerge soprattutto in una sfera personale, intimistica. Quindi è a partire da questa loro esperienza che si fa presente il volto di Gesù-Dio.

È l'esperienza di un Dio piuttosto immanente e non trascendente, cioè a disposizione della loro volontà e desideri. È un Dio che è riconosciuto importante, ma a partire da questa realtà.. Quindi gli aspetti devozionali, spirituali e orazionali sono un po' all'insegna della persona che comanda ad un essere superiore per poter intervenire nella vita quotidiana, tanto nel bene come nel male. È un'esperienza concettuale-manipolabile di Dio. Anche nei pochi casi nei quali viene messa in dubbio l'esistenza di Gesù, si rileva un'obiezione razionale e niente di più.

Ciò che fa più pensare sono risposte che non differiscono nello stile e nella forma tra i gruppi cattolici e non. Ad esempio i gruppi appartenenti alle chiese protestanti e alle sette religiose, gli adepti dello spiritismo e di altre religioni asiatiche, come il buddismo, incalzano con risposte che sono più o meno simili a quelle dei cattolici.
In questo modo si rischia di ridurre Gesù Cristo ad un simbolo dell'immaginario, cioè non considerato in termini realistici; e ridurre la cristologia ad una scienza se non ad una "fiction". Simbolo reale è quello che si vuol indicare in lui, è ciò che è realmente presente.

Quando diciamo che il corpo è il simbolo della persona, non stiamo dicendo che una cosa è il corpo e altro la persona, se non che il corpo essendo persona, rivela aspetti della persona che senza il quale rimarrebbero nascosti. Giustamente diciamo che gli occhi sono la finestra dell'anima. In questo senso parliamo di Cristo come di un simbolo, è il simbolo di Dio per eccellenza. Cristo è Dio che si comunica, che si rivela, però allo stesso tempo Cristo è l'uomo che accetta la rivelazione di Dio. Cristo fa parte delle realtà simboliche reali non fittizie e che rivelano il mistero. Qui con simbolo non si intende una proiezione soggettiva della persona, una proiezione immaginaria delle possibilità umane, ma un simbolo reale. Non si può accettare che Cristo sia ridotto a simbolo immaginario, frutto della fantasia.

L'inchiesta rivela pure il pericolo, dunque, di ridurre Gesù, la sua incarnazione e resurrezione a semplici costruzioni dell'immaginazione umana (un'intervistata l'ha detto esplicitamente) che distruggono la realtà divina di Gesù.

Ma il Dio di Gesù, come ce lo propone la Bibbia, è un Dio che non si lascia manipolare, al contrario è Lui che prende l'iniziativa. È sovrano e la Sua creatura cerca di scorgere e capire la Sua azione. Anzi, ci mostra la Parola di Dio che questo nostro Dio è piuttosto "geloso delle sue iniziative" ed è fedele ai Suoi progetti. Quindi è evidente che questo Dio di Gesù prende Lui per primo l'iniziativa. Quello che sembra emerso nelle risposte dei nostri interlocutori amazzonici è esattamente il contrario: sono loro che prendono l'iniziativa per far assoggettare Dio alle loro problematiche o necessità.

L'evangelista Marco presentando la Parola di Dio alle comunità che cominciavano l'itinerario catecumenale, per la maggioranza di provenienza dal mondo pagano, si guarda bene nel citare molte volte la parola Dio in quanto i suoi destinatari ne facevano un uso sproporzionato.(13) E così Marco, evangelista con uno stile da vero giornalista, noi diremmo oggi, evita il più possibile l'uso della parola "Dio" e cerca con insistenza di sottolineare che Dio non si può manipolare ed invece bisogna scrutare le Sue azioni.

Mi sembra che questi gruppi intervistati, benché di professioni e credo differenti, siano sotto alcuni aspetti simili agli interlocutori del Vangelo scritto da Marco. C'è un'evidente facilità nel parlare di Dio e delle sue iniziative. Quindi non è che manchi, se così possiamo dire, una religiosità, anche se è piuttosto superstiziosa e tipica degli atteggiamenti legati ai riti magici come la macumba e altre manifestazioni tradizionali. Non c'è da stupirsi, dunque, se una buona parte di cattolici oltre a frequentare la Chiesa possa partecipare, e con una certa spontaneità, ai riti magici o alle sedute spiritiche.

È evidente che c'è uno spirito religioso, un senso di divinità che appare ovunque ma che rivela anche una "certa indisciplina religiosa".. A questo punto possiamo dire che la concezione del filosofo tedesco Schleiermacher, un'interpretazione sentimentale della religione, può ridurre il momento dell'atto religioso dell'essere umano ad una semplice formula scaramantica e sentimentaloide, tanto da renderlo vulnerabile in ogni momento del rapporto con lo stesso divino.

In una tal situazione diventa difficile fare evangelizzazione senza essere talvolta fraintesi. Allora ci si chiede come evangelizzare in queste situazioni? Come annunciare Gesù il Cristo in questo contesto di confusione religiosa? Sono interrogativi che ci spronano nel nostro procedere missionario a rivedere costantemente l'opera evangelizzatrice. Sarebbe pericoloso adagiarsi nella routine missionaria pensando "è sempre stato fatto così, perché mettere in discussione il nostro modo di annunciare?".

Alla fin fine le risposte, in generale, non rivelano altro se non un atto superstizioso religioso che sta come panno di fondo in tutti i credo. Ma ciò che più mi domando è: com'è possibile avere una comunanza di professione, se i loro credo sono sotto alcuni aspetti differenti? Che cosa li accomuna? È sufficiente dare un'interpretazione di tipo cultural-antropologico? Forse c'è qualche istanza a livello di evangelizzazione che aiuti un poco nell'avere una certa disciplina religiosa? .

Nei primi due secoli di colonizzazione dell'Amazzonia i portoghesi hanno adottato il metodo specifico del controllo dei popoli nativi con "l'aldeamento", cioè facendo dei villaggi o missioni proprie. Non dobbiamo dimenticare, come abbiamo descritto nel capitolo precedente, che i missionari erano parte integrante delle spedizioni colonizzatrici del Regno del Portogallo. Varie città anche della stessa Amazzonia orientale sono nate in seguito a queste "missioni" o "aldeamento". Per esempio voglio menzionare, oltre a villaggi già ricordati, che le città di Santarem e Bragança do Parà, ora sedi di diocesi, sono nate a seguito di questo processo. È in un tale contesto che avviene l'evangelizzazione.

Dobbiamo riconoscere che ciò ha portato una difesa delle stesse popolazioni indigene, ma pure una nuova formazione con una memoria negativa del passato, quasi dimenticandolo o rifiutandolo. Così coloro che venivano a far parte di questi nuovi villaggi dovevano imparare una nuova cultura, una nuova religione, una nuova lingua, un nuovo modo di vivere e comportarsi.

Da una parte vi era sì una certa difesa anche da certi abusi degli stessi colonizzatori, ma dall'altra parte vi era un processo di sradicamento della persona che perdeva in un certo senso la memoria delle sue radici culturali, la propria identità e la capacità di formulare progetti propri per il futuro. Ad esempio la lingua tradizionale e specifica di ogni comunità indigena nell'aldeamento venne sostituita dalla lingua Tupi, che non è il Tupi dei popoli indios, ma una lingua inventata dagli stessi missionari per poter comunicare a tutti.

Questa lingua franca scomparve poi nel 1750, quando il governo portoghese cominciò ad imporre la sua lingua a tutti. In queste circostanze si crearono le basi di nuovi concetti di vita e di nuovi modi di vivere e nuove culture.

Tutto ciò spiega come mai ancor oggi la gente abbia una grande difficoltà nel riconoscersi una sua storia e un passato nonché le difficoltà nel costruire progetti di vita che possano garantire una certa indipendenza. Infatti una delle note più comuni che possiamo constatare è l'incostanza nell'affrontare ideali di vita, l'incapacità ad affrontare con una razionalità la stessa e conseguentemente un'assolutizzazione dell'emotività, tipica della condizione servile.

La stessa fatalità nell'affrontare la vita forse non proviene da queste radici? E allora l'inchiesta ci aiuta a capire il perché di una certa uniformità di pensiero in quanto non possono fare altro che dire ciò che gli altri gli hanno detto, perché la sedimentazione di ogni riflessione è spoglia di una storia, di un passato relativizzato.

La loro memoria si radicalizza in legami europei, quasi dimenticando o non riconoscendo una fonte autoctona. Come al tempo della colonizzazione, cercano di essere fedeli a quello che gli hanno insegnato, anche se non riescono a capirlo, finendo col ripetere semplicemente la lezione.

Lo scollamento tra il pensiero e la vita sono più che mai evidenti. Ecco perché non c`è da stupirsi della uniformità delle risposte su Gesù Cristo rilevata tra cattolici e non.

La storia ci aiuta a capire. Come nel passato si sono adeguati ad un insegnamento, così pure oggi fanno altrettanto, "in quanto non si può fare altrimenti", così loro dicono. In realtà vivono come loro "si sentono" effettivamente.

La testimonianza dell'anziano missionario del Pime ci rivela che il problema evidenziato dalla ricerca sociologica non ha solamente radici nel presente, relegabile all'esplosione tecnologica mass-mediatica. Allora non vi erano i condizionamenti dei grandi mezzi di comunicazione odierni, eppure vi era la stessa preoccupazione. Quindi le radici della situazione attuale sono riconducibili pure ad un passato colonizzatore, fino agli "aldeamento" o "missioni". Poi l'incontro della gente schiava africana con gli stessi indios sono un'altra matrice che ha generato un certo sincretismo religioso.

L'impatto dell'incontro ha creato ancor più delle basi di sfiducia circa il passato culturale e religioso. Ancor oggi, per esempio, è difficile chiamare indio un giovane amazzonico. Per loro è sinonimo di negatività, di essere incivile. Questo discorso vale pure per un negro.

Il processo di evangelizzazione degli schiavi africani che giungevano in Brasile era condotto non con catechismi e vocabolari utili ad insegnare le nuove realtà ma avveniva devozionalmente, attraverso le preghiere fatte ad un altare domestico pieno di santi.

È una religiosità popolare dove si fa molta preghiera, però ci sono pochi preti e quindi ci sono pochi sacramenti, poche messe e, al contempo, molti santi, molte promesse, tanta festa e poca penitenza.

Che tipo di teologia emerge da un simile contesto?

La pratica cristiana ha come filtro un'esperienza religiosa di tipo personale e devozionale per immersione culturale, priva di una pianificazione specifica di catechesi, predicazione, dottrina, corsi, studi....

Ecco allora che l'esperienza di Gesù viene percepita sulla base di questi elementi, molto individualistici ed aggreganti (la condizione sociale di dipendenza promuove la comunanza), di incomprensione e sofferenza per la situazione in cui si trovano, privi di sbocco per il futuro. Le devozioni, soprattutto quella mariana, sono una risposta alle loro umiliazioni.

Quindi si delinea un Gesù che deve dare una risposta alle situazioni contingenti. È una teologia - se così si può dire - della sopravvivenza. È alla fin fine una teologia al femminile caratterizzata da pietà, sensibilità, donazione, sopportazione, oblazione e dipendenza.

Credo che la soluzione si trovi nel dare più enfasi ad una teologia biblica, ancorata nella storia e che promuove una riflessione ben più ampia al fine di riscattare la condizione storico-culturale come condizione per un vero processo di storia della salvezza, riconducibile al Dio di Gesù Cristo.

Così si è pronunciato il teologo francese Liégé:

"In Gesù Cristo riconosco l'iniziativa ultima di Dio per svelarsi agli uomini, per mettere l'uomo in grado d'interpretare completamente la sua storia. In Gesù Cristo riconosco l'Evento che parla inesauribilmente del Dio unico che realizza fino in fondo il verbo della sua totale creazione. In Gesù Cristo accolgo la lieta novella di un avvenire assoluto che riguarda tutti gli uomini. Quando divengo discepolo di Gesù Cristo sono trascinato con lui verso il centro assoluto di gravità della storia umana. Non ce ne sarà un altro; ormai Dio non può né duplicarlo, né rinunciarvi, né passare oltre fino allo scopo".(14)

È questa ricerca personale ed ecclesiale che ci permette di riconoscere quanto il Battista ci ha testimoniato.
Egli ci presenta un ritratto particolare di Gesù Cristo. Egli è "l'agnello di Dio", il Servo che offre la salvezza ai popoli, il compimento delle profezie dell'Antico Testamento, Colui che si offre liberamente per togliere dal mondo ogni peccato di incredulità e di odio.

È la testimonianza inedita che Gesù è il Figlio di Dio. Infatti dice "in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete" ( Gv. 1,26b).

Forse partendo da questo potrebbe essere un cammino di una nuova evangelizzazione che permetta una migliore identificazione dell'essere umano in un suo preciso contesto storico qual'è quello dell'Amazzonia orientale.

Ma per non ridurre una teologia di un certo orizzontalismo, credo che debba aver dei connotati mistici. Un'evangelizzazione che si orienta in questo senso potrebbe evitare le approssimazioni religiose e potrebbe meglio incarnarsi nella loro vita. Credo che i cammini carismatici intrapresi oggi non siano una risposta teologica in grado di aiutarli a tornare dei veri protagonisti della storia della salvezza.

Mi sembra, anzi, che riproducano un passato responsabile di una evangelizzazione che passa "sopra le teste".
Così ci interpellò Paolo VI, in un suo intervento fatto a Roma il 14 marzo del 1965:

Il catechismo ci ricorda che "Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo", ma sappiamo noi davvero cosa significa ciò?
Ed ancora, se Gesù è Dio fatto uomo, il che è la meraviglia delle meraviglie, cosa può essere lui per me? Quale rapporto esiste fra lui e me? Debbo io proprio occuparmi di lui? Posso incontrarlo sul cammino della mia vita? È legato al mio destino? Non basta. Se domandassi proprio agli uomini del nostro tempo: che cosa ricordate di Gesù? Come lo considerate? Ditemi: Chi è il Signore? Chi è questo Gesù che continuiamo a predicare dopo tanti secoli, con la persuasione che l'annuncio alle anime è ancora più necessario della nostra stessa vita? Chi è Gesù?
(15)

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(13) Conforme le statistiche vediamo che l'evangelista Marco cita il nome di Dio 37 volte, mentre Matteo 46 e Luca 108. E quando si riferisce a Dio Padre solo 5 volte, mentre per esempio Giovanni ha molte citazioni. Cfr.: M. MARTINI, L'itinerario spirituale dei dodici, Borla, Roma.

(14) P. A. LIÉGÉ, Per lei chi è Gesù Cristo?, Città nuova editrice, Roma 1973 p. 178

(15) INSEGNAMENTI DI PAOLO VI, Omelia nella Chiesa di S. Giuseppe al Trionfale, vol.III p. 1091, Tipografia Poliglotta Vaticana 1965

Livros

Apresentaçäo do livro " Homilética e comunicaçäo"Nova Igreja na Amazonia

Libro:" L'annuncio di Gesù Cristo nell'Amazonia Orientale"

 

 

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