L'ANNUNCIO
DI GESÙ CRISTO NELL'AMAZZONIA ORIENTALE
Aspetti storici e
prospettive pastorali
Indice
Cap.
V
RIFLESSIONE SU: "CHI È GESÙ PER TE"
V.1
Analisi delle risposte
V.2 Considerazioni
V.1.
Analisi delle risposte
Per molti barboni
Gesù è riflesso nei loro stessi visi, nelle esperienze e traspare
anche nelle persone buone e caritatevoli, che accolgono e aiutano. Alcune
volte anche in quelli che li disprezzano.
Parlare di Gesù
è parlare del Padre (Dio). Egli
è il Salvatore. Sono risposte semplici. La
conoscenza può non essere sufficiente a fargli sperimentare una vita
in pienezza. C'è chi vi ha trovato la forza per sopportare il peso
di una vita solitaria e difficile. Non
sono risposte teologiche, sono esperienze di vita e in esse la presenza di
Dio e del Salvatore sono realtà.
Gesù per
gli indios kaiapos è il lamento e la necessità di organizzazione
per continuare a vivere. Sanno
che il loro gruppo è emarginato. Credono in un diverso modo di vivere.
È
cosi che identificano Cristo. Egli è parte del cammino, del riconoscimento
sociale. Hanno risposte politiche ed emerge in alcuni casi un senso di sfiducia.
La loro
forma di vedere Gesù è da rapportarsi ad alcune credenze cristiane
non dichiarate.
Sono invece molto
articolate le risposte date dagli esponenti di pastorali, movimenti e gruppi
cattolici.. In molti casi le affermazioni, scaturite dalla mente e dal cuore
di cristiani, sono i fondamenti della fede insegnati nella catechesi e nella
lettura del Vangelo.
In un gruppo
di aderenti alla S.Vincenzo emerge l'applicazione del Vangelo di Gesù
Cristo secondo Matteo 25, 31-46, sul giudizio finale. Questa
comprensione esige nei seguaci una cura speciale ai più deboli e indifesi.
Anche per i membri
della Legione di Maria, Gesù si fa presente nelle persone sfavorite:
il povero, il malato, l'escluso, quelli che sono lasciati fuori dalla società
ed è al contempo la sicurezza di quelli che lo annunciano.
Si osserva, nelle
asserzioni rese dai carismatici, un Dio che sembra impossibile da descriversi.
Gesù è un Dio intimo e molto trascendente, un Dio personale
che risolve i problemi.
Dagli operatori
dell'infanzia missionaria era d'altro lato 'prevista' una rappresentazione
di Gesù come di colui che annunzia il Regno di Dio e che impegna i
suoi seguaci a fare lo stesso, ma le parole degli intervistati non corrispondono
alle aspettative. Egli
è personale. Per quanto riguarda l'Apostolato della preghiera, il Figlio
è descritto come rifugio, guida, intercessore, conforto, ausilio nella
vita.
Secondo quanto
espresso dai neocatecumali, Gesù è un essere perfetto in opere
e azioni. Permette la sofferenza che ci fa diventare simile a Lui. Ci insegna
la necessità della conversione quotidiana. Solo al termine di un tale
cammino si può dire di amare Gesù.
Il Cristo, per
i focolarini, è fondamentalmente colui che li ha riscattati dal profondo
dell'abisso, che ha usato la misericordia verso di loro perché si erano
persi e adesso conduce le loro vite. È al contempo colui che chiede
alla persona di tenerlo sempre presso di sé. È un esempio di
amore.
Tra gli studenti
del corso di filosofia dell'istituto regionale per la formazione dei presbiteri,
primeggia la concezione di scelta, nascita e missione del Figlio di Dio, nato
da una donna. Gesù è l'essere divino che diventò uomo
per realizzare una missione e predicare un nuovo esempio di vita, che deve
essere seguito per raggiungere la felicità.
Quello che richiama
l'attenzione, nell'ambito delle dichiarazioni rese dagli attivisti "Sem
terra", è che le risposte sono dirette date in maggioranza da
giovani che cercano le parole come: tutto, Dio vivo, il capo di cui tutto
dipende, anche se è diventato uomo non può essere limitato dentro
dei nostri ideali. Per una di loro, invece, Gesù è qualcosa
di inesistente, creato da uomini che volevano manipolare gli altri.
Gli agenti della
pastorale della gioventù preferiscono guardare il volto e poi descrivere
Gesù mentre i giovani lo indicano come unico bene da cercare. È
il modello che giustifica una scelta. In un primo momento le risposte si presentono
come l'estasi di una scoperta. Ciò può essere più o meno
approfondito a seconda delle persone che compariranno lungo il cammino di
fede.
Il Cristo è,
per i giovani impegnati in un cammino vocazionale, una persona divina che
orienta, indica il cammino del Padre e le forme d'amore per i fratelli. È
la presenza di Dio Padre, tra noi.
Tra i leader
della pastorale bambini Gesù è il povero e sta nel volto dei
più giovani seguiti dagli agenti pastorali, da madri sofferenti e dagli
altri operatori di settore. Sta nelle famiglie e, in particolare, in coloro
che necessitano dell'indispensabile per vivere, nei poveri di beni materiali
e/o spirituali: è l'esperienza che dice a loro chi è Gesù.
La percezione delle giovani aderenti alle CEBs è di un Gesù
armonico con la realtà delle loro vite. È la comunità
nelle sue difficoltà e nella lotta per migliorare il livello di vita.
Per le anziane incarna un Dio più sociale, educatore, compagno, motivatore
che agisce in tutti e che lotta insieme a quelli che hanno sete di giustizia.
È il volto della propria comunità.
Una discreta
omogeneità caratterizza le dichiarazioni degli universitari. Gesù
è descritto come il divino che prende corpo per rivelare Dio, un grande
rivoluzionario che presenta al mondo un nuovo progetto, un maestro di conoscenza
e di insegnamento, un gran leader spirituale. Nella quasi totalità
dei casi il Salvatore è collegato al sociale, è colui che è
venuto per gli umili, che combatte gli ingiusti.
Analizzando le
asserzioni dei mebri delle Chiese protestanti e delle sette, si evidenzia,
per quanto riguarda le Assemblee di Dio, un Gesù come il Figlio di
Dio che è venuto per salvare, un Dio incarnato nella vita delle persone,
che (ad esempio per i carismatici) serve per guidare la vita; un amico, un
liberatore. Si vede nuovamente il profilarsi di un Dio personale. È
evidente una concezione moralistica della vita, tipica dei protestanti.
Per i seguaci
della Chiesa quadrangolare, Cristo è la luce della quale le persone
hanno bisogno nella vita. Egli chiede una totale donazione ai suoi seguaci.
La loro concezione è molto spiritualistica.
Tra i battisti
è colui che salva la persona dalla cattiva strada; si denota un'interpretazione
in chiave puramente moralistica mentre per gli avventisti le parole presentano
Gesù che è vita, che sta al centro dell'esistenza, è
il cuore che batte. Il tutto è concepito in una chiave molto individualistica.
Dalla "Chiesa
della grazia" emerge un Cristo vero esempio di forza, umiltà,
carità, donazione e amore. È l'Onnipotente che porta salute,
amore, sapienza e speranza al cuore, è colui che porta tutto di buono
alla vita dell'uomo. È il salvatore del mondo, rivelazione del Padre,
il verbo di Dio incarnato, la Parola fatta carne. Questo gruppo non presenta
novità in rapporto a Gesù in quanto Salvatore, ma sembra di
avvertire uno scollamento tra il pensiero, e cioè in quello che dicono,
e l'azione.
Per spiritisti
e buddisti il Cristo è uno spirito perfetto, illuminato, di luce, che
è venuto con la missione di migliorare l'umanità al pari di
altri spiriti hanno visitato il mondo con questa finalità. Gesù
qui non presenta caratteristiche assolute, ma merita comunque reverenza.
I politeisti
si differenziano dagli spiritisti e si rileva la grandezza di Gesù
rispetto all'umanità, ma come lo spiritismo, non rappresenta alcun
impegno di vita particolare o rispetto alle altre persone.
Secondo alcuni
membri di nuclei familiari spiccano per semplicità, il Figlio è
tutto in tutti sebbene nella maggioranza delle volte non vi sia reciprocità
in questa forma di amore. Tra i laici che studiano di teologia emergono convinzioni
permeate di dottrina a partire della professione di fede. Gesù si colloca
come fratello maggiore e si fa un riferimento a Gesù come capo della
Chiesa, inviato di Dio. In nessun momento si presenta il Figlio come Colui
che è venuto per creare vita nuova a partire dei poveri. Le risposte
sono teoriche e personali, non presentano alcuna relazione comunitaria partecipativa
di Gesù.
Per i detenuti
la visione di Gesù Cristo è di: liberatore, Salvatore, saggio,
grande profeta.
Gli operatori
dei mass-media hanno espresso considerazioni riflessive e mediate con la dottrina,
con l'esperienza di vita e con diversi interrogativi. È l'opzione a
Gesù che ci fa vedere gli altri, se stessi e il proprio Dio che trasforma
tutte le situazioni di sofferenza e difficoltà.
Cristo, anche
per gli insegnanti, è il Salvatore del mondo, il Dio incarnato, la
rivelazione del Padre, è il verbo di Dio incarnato, la Parola fatta
carne, Dio-uomo, Uomo-Dio, o sia vero Dio e vero uomo, è il Messia,
la realizzazione della promessa divina in favore degli uomini.
Più in
particolare, per alcuni docenti Gesù è definito a partire da
una visione teologica, per altri questa definizione è mediata dall'esperienza
ottenuta nella vita, e cioè a partire delle difficoltà personali.
Qualcuno lo presenta come il Salvatore del mondo, in quanto Figlio di Dio,
ed esempio da seguirsi. Qui c'è una visione dottrinale della fede cattolica
che però non coinvolge nessuno con la pratica della giustizia nel mondo.
Egli è venuto perché è stato promesso da Dio.
Generalmente
Gesù è visto come una proposta personale, un Dio che è
venuto per servire da prototipo di comportamenti corretti nella vita, e pochi
fanno riferimento alla missione di Gesù Cristo come inviato del Padre
per la conversione delle persone e della società al progetto di vita
in abbondanza per tutti.
Le risposte presentano Gesù Cristo come concetti o esperienze della
vita, che però denotano poi, nella vita quotidiana, quasi uno scollamento
tra ciò che si dice e ciò che si vive.
V.2. Considerazioni
La testimonianza
di Giovanni Battista ci presenta un ritratto ben particolare di Gesù
Cristo. Egli è "l'agnello di Dio", il Servo che offre la
salvezza ai popoli, il compimento delle profezie dell'Antico Testamento, Colui
che si offre liberamente per togliere dal mondo ogni peccato di incredulità
e di odio.
E Giovanni dà
la testimonianza inedita che Gesù è il Figlio di Dio. Infatti
dice "in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete" ( Gv. 1,26b).
Uno degli elementi
che più emerge nelle categorie sociali che più soffrono è
un concetto di Dio che può essere positivamente utilizzato per la loro
salvezza. Dio, quindi, è tutto per loro. Non ci sono risposte dottrinali
o razionali, in un certo senso. È un Dio che emerge soprattutto in
una sfera personale, intimistica. Quindi è a partire da questa loro
esperienza che si fa presente il volto di Gesù-Dio.
È l'esperienza
di un Dio piuttosto immanente e non trascendente, cioè a disposizione
della loro volontà e desideri. È un Dio che è riconosciuto
importante, ma a partire da questa realtà.. Quindi gli aspetti
devozionali,
spirituali e orazionali sono un po' all'insegna della persona che comanda
ad un essere superiore per poter intervenire nella vita quotidiana, tanto
nel bene come nel male. È un'esperienza concettuale-manipolabile di
Dio. Anche nei pochi casi nei quali viene messa in dubbio l'esistenza di Gesù,
si rileva un'obiezione razionale e niente di più.
Ciò che
fa più pensare sono risposte che non differiscono nello stile e nella
forma tra i gruppi cattolici e non. Ad esempio i gruppi appartenenti alle
chiese protestanti e alle sette religiose, gli adepti dello spiritismo e di
altre religioni asiatiche, come il buddismo, incalzano con risposte che sono
più o meno simili a quelle dei cattolici.
In questo modo si rischia di ridurre Gesù Cristo ad un simbolo dell'immaginario,
cioè non considerato in termini realistici; e ridurre la cristologia
ad una scienza se non ad una "fiction". Simbolo reale è quello
che si vuol indicare in lui, è ciò che è realmente presente.
Quando diciamo
che il corpo è il simbolo della persona, non stiamo dicendo che una
cosa è il corpo e altro la persona, se non che il corpo essendo persona,
rivela aspetti della persona che senza il quale rimarrebbero nascosti. Giustamente
diciamo che gli occhi sono la finestra dell'anima. In questo senso parliamo
di Cristo come di un simbolo, è il simbolo di Dio per eccellenza. Cristo
è Dio che si comunica, che si rivela, però allo stesso tempo
Cristo è l'uomo che accetta la rivelazione di Dio. Cristo fa parte
delle realtà simboliche reali non fittizie e che rivelano il mistero.
Qui con simbolo non si intende una proiezione soggettiva della persona, una
proiezione immaginaria delle possibilità umane, ma un simbolo reale.
Non si può accettare che Cristo sia ridotto a simbolo immaginario,
frutto della fantasia.
L'inchiesta rivela
pure il pericolo, dunque, di ridurre Gesù, la sua incarnazione e resurrezione
a semplici costruzioni dell'immaginazione umana (un'intervistata l'ha detto
esplicitamente) che distruggono la realtà divina di Gesù.
Ma il Dio di
Gesù, come ce lo propone la Bibbia, è un Dio che non si lascia
manipolare, al contrario è Lui che prende l'iniziativa. È sovrano
e la Sua creatura cerca di scorgere e capire la Sua azione. Anzi, ci mostra
la Parola di Dio che questo nostro Dio è piuttosto "geloso delle
sue iniziative" ed è fedele ai Suoi progetti. Quindi è
evidente che questo Dio di Gesù prende Lui per primo l'iniziativa.
Quello che sembra emerso nelle risposte dei nostri interlocutori amazzonici
è esattamente il contrario: sono loro che prendono l'iniziativa per
far assoggettare Dio alle loro problematiche o necessità.
L'evangelista
Marco presentando la Parola di Dio alle comunità che cominciavano l'itinerario
catecumenale, per la maggioranza di provenienza dal mondo pagano, si guarda
bene nel citare molte volte la parola Dio in quanto i suoi destinatari ne
facevano un uso sproporzionato.(13)
E così Marco, evangelista con uno stile da vero giornalista, noi diremmo
oggi, evita il più possibile l'uso della parola "Dio" e cerca
con insistenza di sottolineare che Dio non si può manipolare ed invece
bisogna scrutare le Sue azioni.
Mi sembra che
questi gruppi intervistati, benché di professioni e credo differenti,
siano sotto alcuni aspetti simili agli interlocutori del Vangelo scritto da
Marco. C'è un'evidente facilità nel parlare di Dio e delle sue
iniziative. Quindi non è che manchi, se così possiamo dire,
una religiosità, anche se è piuttosto superstiziosa e tipica
degli atteggiamenti legati ai riti magici come la macumba e altre manifestazioni
tradizionali. Non c'è da stupirsi, dunque, se una buona parte di cattolici
oltre a frequentare la Chiesa possa partecipare, e con una certa spontaneità,
ai riti magici o alle sedute spiritiche.
È evidente
che c'è uno spirito religioso, un senso di divinità che appare
ovunque ma che rivela anche una "certa indisciplina religiosa"..
A questo punto possiamo dire che la concezione del filosofo tedesco
Schleiermacher,
un'interpretazione sentimentale della religione, può ridurre il momento
dell'atto religioso dell'essere umano ad una semplice formula scaramantica
e sentimentaloide, tanto da renderlo vulnerabile in ogni momento del rapporto
con lo stesso divino.
In una tal situazione
diventa difficile fare evangelizzazione senza essere talvolta fraintesi. Allora
ci si chiede come evangelizzare in queste situazioni? Come annunciare Gesù
il Cristo in questo contesto di confusione religiosa? Sono interrogativi che
ci spronano nel nostro procedere missionario a rivedere costantemente l'opera
evangelizzatrice. Sarebbe pericoloso adagiarsi nella routine missionaria pensando
"è sempre stato fatto così, perché mettere in discussione
il nostro modo di annunciare?".
Alla fin fine
le risposte, in generale, non rivelano altro se non un atto superstizioso
religioso che sta come panno di fondo in tutti i credo. Ma ciò che
più mi domando è: com'è possibile avere una comunanza
di professione, se i loro credo sono sotto alcuni aspetti differenti? Che
cosa li accomuna? È sufficiente dare un'interpretazione di tipo
cultural-antropologico?
Forse c'è qualche istanza a livello di evangelizzazione che aiuti un
poco nell'avere una certa disciplina religiosa? .
Nei primi due
secoli di colonizzazione dell'Amazzonia i portoghesi hanno adottato il metodo
specifico del controllo dei popoli nativi con "l'aldeamento", cioè
facendo dei villaggi o missioni proprie. Non dobbiamo dimenticare, come abbiamo
descritto nel capitolo precedente, che i missionari erano parte integrante
delle spedizioni colonizzatrici del Regno del Portogallo. Varie città
anche della stessa Amazzonia orientale sono nate in seguito a queste "missioni"
o "aldeamento". Per esempio voglio menzionare, oltre a villaggi
già ricordati, che le città di Santarem e Bragança do
Parà, ora sedi di diocesi, sono nate a seguito di questo processo.
È in un tale contesto che avviene l'evangelizzazione.
Dobbiamo riconoscere
che ciò ha portato una difesa delle stesse popolazioni indigene, ma
pure una nuova formazione con una memoria negativa del passato, quasi dimenticandolo
o rifiutandolo. Così coloro che venivano a far parte di questi nuovi
villaggi dovevano imparare una nuova cultura, una nuova religione, una nuova
lingua, un nuovo modo di vivere e comportarsi.
Da una parte
vi era sì una certa difesa anche da certi abusi degli stessi colonizzatori,
ma dall'altra parte vi era un processo di sradicamento della persona che perdeva
in un certo senso la memoria delle sue radici culturali, la propria identità
e la capacità di formulare progetti propri per il futuro. Ad esempio
la lingua tradizionale e specifica di ogni comunità indigena nell'aldeamento
venne sostituita dalla lingua Tupi, che non è il Tupi dei popoli
indios,
ma una lingua inventata dagli stessi missionari per poter comunicare a tutti.
Questa lingua
franca scomparve poi nel 1750, quando il governo portoghese cominciò
ad imporre la sua lingua a tutti. In queste circostanze si crearono le basi
di nuovi concetti di vita e di nuovi modi di vivere e nuove culture.
Tutto ciò
spiega come mai ancor oggi la gente abbia una grande difficoltà nel
riconoscersi una sua storia e un passato nonché le difficoltà
nel costruire progetti di vita che possano garantire una certa indipendenza.
Infatti una delle note più comuni che possiamo constatare è
l'incostanza nell'affrontare ideali di vita, l'incapacità ad affrontare
con una razionalità la stessa e conseguentemente un'assolutizzazione
dell'emotività, tipica della condizione servile.
La stessa fatalità
nell'affrontare la vita forse non proviene da queste radici? E allora l'inchiesta
ci aiuta a capire il perché di una certa uniformità di pensiero
in quanto non possono fare altro che dire ciò che gli altri gli hanno
detto, perché la sedimentazione di ogni riflessione è spoglia
di una storia, di un passato relativizzato.
La loro memoria
si radicalizza in legami europei, quasi dimenticando o non riconoscendo una
fonte autoctona. Come al tempo della colonizzazione, cercano di essere fedeli
a quello che gli hanno insegnato, anche se non riescono a capirlo, finendo
col ripetere semplicemente la lezione.
Lo scollamento
tra il pensiero e la vita sono più che mai evidenti. Ecco perché
non c`è da stupirsi della uniformità delle risposte su Gesù
Cristo rilevata tra cattolici e non.
La storia ci
aiuta a capire. Come nel passato si sono adeguati ad un insegnamento, così
pure oggi fanno altrettanto, "in quanto non si può fare altrimenti",
così loro dicono. In realtà vivono come loro "si sentono"
effettivamente.
La testimonianza
dell'anziano missionario del Pime ci rivela che il problema evidenziato dalla
ricerca sociologica non ha solamente radici nel presente, relegabile all'esplosione
tecnologica mass-mediatica. Allora non vi erano i condizionamenti dei grandi
mezzi di comunicazione odierni, eppure vi era la stessa preoccupazione. Quindi
le radici della situazione attuale sono riconducibili pure ad un passato colonizzatore,
fino agli "aldeamento" o "missioni". Poi l'incontro della
gente schiava africana con gli stessi indios sono un'altra matrice che ha
generato un certo sincretismo religioso.
L'impatto dell'incontro
ha creato ancor più delle basi di sfiducia circa il passato culturale
e religioso. Ancor oggi, per esempio, è difficile chiamare indio un
giovane amazzonico. Per loro è sinonimo di negatività, di essere
incivile. Questo discorso vale pure per un negro.
Il processo di
evangelizzazione degli schiavi africani che giungevano in Brasile era condotto
non con catechismi e vocabolari utili ad insegnare le nuove realtà
ma avveniva devozionalmente, attraverso le preghiere fatte ad un altare domestico
pieno di santi.
È una
religiosità popolare dove si fa molta preghiera, però ci sono
pochi preti e quindi ci sono pochi sacramenti, poche messe e, al contempo,
molti santi, molte promesse, tanta festa e poca penitenza.
Che tipo di
teologia emerge da un simile contesto?
La pratica cristiana
ha come filtro un'esperienza religiosa di tipo personale e devozionale per
immersione culturale, priva di una pianificazione specifica di catechesi,
predicazione, dottrina, corsi, studi....
Ecco allora che
l'esperienza di Gesù viene percepita sulla base di questi elementi,
molto individualistici ed aggreganti (la condizione sociale di dipendenza
promuove la comunanza), di incomprensione e sofferenza per la situazione in
cui si trovano, privi di sbocco per il futuro. Le devozioni, soprattutto quella
mariana, sono una risposta alle loro umiliazioni.
Quindi si delinea
un Gesù che deve dare una risposta alle situazioni contingenti. È
una teologia - se così si può dire - della sopravvivenza. È
alla fin fine una teologia al femminile caratterizzata da pietà, sensibilità,
donazione, sopportazione, oblazione e dipendenza.
Credo che la
soluzione si trovi nel dare più enfasi ad una teologia biblica, ancorata
nella storia e che promuove una riflessione ben più ampia al fine di
riscattare la condizione storico-culturale come condizione per un vero processo
di storia della salvezza, riconducibile al Dio di Gesù Cristo.
Così si
è pronunciato il teologo francese Liégé:
"In Gesù
Cristo riconosco l'iniziativa ultima di Dio per svelarsi agli uomini, per
mettere l'uomo in grado d'interpretare completamente la sua storia. In Gesù
Cristo riconosco l'Evento che parla inesauribilmente del Dio unico che realizza
fino in fondo il verbo della sua totale creazione. In Gesù Cristo accolgo
la lieta novella di un avvenire assoluto che riguarda tutti gli uomini. Quando
divengo discepolo di Gesù Cristo sono trascinato con lui verso il centro
assoluto di gravità della storia umana. Non ce ne sarà un altro;
ormai Dio non può né duplicarlo, né rinunciarvi, né
passare oltre fino allo scopo".(14)
È questa
ricerca personale ed ecclesiale che ci permette di riconoscere quanto il Battista
ci ha testimoniato.
Egli ci presenta un ritratto particolare di Gesù Cristo. Egli è
"l'agnello di Dio", il Servo che offre la salvezza ai popoli, il
compimento delle profezie dell'Antico Testamento, Colui che si offre liberamente
per togliere dal mondo ogni peccato di incredulità e di odio.
È la testimonianza
inedita che Gesù è il Figlio di Dio. Infatti dice "in mezzo
a voi sta uno che voi non conoscete" ( Gv. 1,26b).
Forse partendo
da questo potrebbe essere un cammino di una nuova evangelizzazione che permetta
una migliore identificazione dell'essere umano in un suo preciso contesto
storico qual'è quello dell'Amazzonia orientale.
Ma per non ridurre
una teologia di un certo orizzontalismo, credo che debba aver dei connotati
mistici. Un'evangelizzazione che si orienta in questo senso potrebbe evitare
le approssimazioni religiose e potrebbe meglio incarnarsi nella loro vita.
Credo che i cammini carismatici intrapresi oggi non siano una risposta teologica
in grado di aiutarli a tornare dei veri protagonisti della storia della salvezza.
Mi sembra, anzi,
che riproducano un passato responsabile di una evangelizzazione che passa
"sopra le teste".
Così ci interpellò Paolo VI, in un suo intervento fatto a Roma
il 14 marzo del 1965:
Il catechismo
ci ricorda che "Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo",
ma sappiamo noi davvero cosa significa ciò?
Ed ancora, se Gesù è Dio fatto uomo, il che è la meraviglia
delle meraviglie, cosa può essere lui per me? Quale rapporto esiste
fra lui e me? Debbo io proprio occuparmi di lui? Posso incontrarlo sul cammino
della mia vita? È legato al mio destino? Non basta. Se domandassi proprio
agli uomini del nostro tempo: che cosa ricordate di Gesù? Come lo considerate?
Ditemi: Chi è il Signore? Chi è questo Gesù che continuiamo
a predicare dopo tanti secoli, con la persuasione che l'annuncio alle anime
è ancora più necessario della nostra stessa vita? Chi è
Gesù? (15)
____________
(13) Conforme
le statistiche vediamo che l'evangelista Marco cita il nome di Dio 37 volte,
mentre Matteo 46 e Luca 108. E quando si riferisce a Dio Padre solo 5 volte,
mentre per esempio Giovanni ha molte citazioni. Cfr.: M. MARTINI, L'itinerario
spirituale dei dodici, Borla, Roma.
(14) P. A. LIÉGÉ,
Per lei chi è Gesù Cristo?, Città nuova editrice, Roma
1973 p. 178
(15) INSEGNAMENTI
DI PAOLO VI, Omelia nella Chiesa di S. Giuseppe al Trionfale, vol.III p. 1091,
Tipografia Poliglotta Vaticana 1965
|