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L'INFLUSSO DEI MASS-MEDIA E IL LORO CORRETTO USO, UNITAMENTE AI MEZZI INFORMATICI, NELLA FORMAZIONE PERMANENTE DEI PRESBITERI

  1. I mass-media producono nuovi linguaggi e cultura.

  2. Come si rapportano nella nostra vita personale e pastorale

  3. Qual'è la nostra conoscenza

  4. La nostra risposta come testimonianza per un'efficace evangelizzazione con i mass-media

  5. "Orazione del comunicatore"

  6. Letture suggerite

Il mondo della comunicazione in relazione alla formazione permanente dei presbiteri ha molteplici aspetti, vantaggi, problematiche e ricadute, sia positive che negative.

Qui di seguito riporto alcuni spunti sull'odierno mondo della comunicazione in relazione alla formazione permanente dei presbiteri. È evidente che queste riflessioni non possono esaurire la così grande e difficile questione della comunicazione mass-mediale in questo senso, però pretendono stimolare un giusto approccio per un più vivo interesse di tutti noi.


1) I mass-media producono nuovi linguaggi e cultura.

 

1a) Esplosione tecnologica e sue conseguenze.

1b) Condizionamenti psicosomatici

1c) La nuova cultura

 

 

1a) Esplosione tecnologica e sue conseguenze.

Paolo VI nell'istruzione pastorale "Communio et progressio" (n° 1), afferma: "La comunione e il progresso della società umana sono i fini primari della comunicazione sociale e dei suoi strumenti come la stampa, il cinema, la radio, la televisione. Di fatto il loro continuo perfezionamento ne estende e ne agevola l'uso a pubblici sempre più vasti ed ai singoli individui, e la loro profonda penetrazione influisce sempre più sulla mentalità e sul comportamento di tutti gli uomini". Questa istruzione evidenzia come i mass-media non siano dei semplici strumenti utili a far giungere, con gradazioni diverse, le voci o i messaggi nei luoghi più distanti, ma giochino un ruolo importantissimo e direi determinante sulla mentalità e il comportamento dell'umanità.
Mai come oggi ci rendiamo conto della forza che possiedono i mass-media nell'influire sulla vita dell'essere umano.
I fatti anche sconvolgenti sono oramai parte integrante della nostra vita. Partecipiamo in diretta a eventi che mai avremmo potuto condividere senza essere fisicamente presenti. Pur a distanza, siamo presenti un po' ovunque e alle volte disponendo di dettagli maggiori rispetto alle persone effettivamente sul posto.
La lontananza diventa dunque sempre più presenza e ci coinvolge tanto da comportare mutamenti alla nostra vita.

 

 

Nel secolo scorso l'introduzione di nuove tecnologie - sfociate prima nella telematica e poi nella "ragnatela" (in inglese: web) mondiale di comunicazione conosciuta col nome di "Internet" - ha marcato ancor di più la vita dell'essere umano. Martin Heidegger parlava della tecnologia che influenza il "Dasein" (l'esistere) nella sua relazione con se stesso e il mondo. Diceva che questa è organizzata per soddisfare i desideri dei soggetti autonomi e stabili. La tecnologia è vista non come un semplice strumento, ma bensì come un modo di rivelare il tutto. La risposta positiva di Heidegger alla tecnologia parte dalla considerazione che se uno è capace di programmarsi sulla base della flessibilità tecnologica, si sente fortunato in quanto è aperto alle molteplici possibilità del divenire. Con il suo aiuto gli uomini possono esaltarsi e mettersi nella posizione di 'signore' della Terra.
Il filosofo tedesco però rileva d'altro lato che la tecnologia può costituire una minaccia allo stesso essere se lo strumento asssume un ruolo sostitutivo alla persona. Ontologicamente minaccia l'oggettività e la soggettività dell'essere umano.


La tecnologia oggi promuove una dinamica di informazioni e conoscenze sempre maggiori riducendo però l'azione dell'essere umano ad uno spazio sempre più ristretto. È un processo che determina una sempre maggiore dipendenza dagli strumenti tecnologici e chi non si adegua è tagliato fuori dal contesto sia locale che mondiale. Per molte società, ad esempio, oggi la persona è importante se appare nei mass-media.
I concetti di tempo e spazio sono cambiati, in qualche modo tradotti in simultaneità e partecipazione. In questo senso favoriscono una certa loquacità nell'essere umano ma priva talvolta di consapevolezza.

 


1b) Condizionamenti psicosomatici

Tutta la tecnologia si serve dei flussi di luce per mediare i suoi messaggi, i quali condizionano in maniera non indifferente il corpo umano. Le conseguenze a livello psicosomatico e cardiovascolare sono quelle che più ne risentono. Le immagini decodificate in inquadrature hanno a loro volta significato secondo il taglio dato loro.

Ad esempio, come siamo abituati a 'vedere' durante una giornata qualunque?
È assai difficile concentrare più di certo tempo la nostra vista su di un particolare o un dettaglio così come soffermarci su primi e medi piani.
Optiamo generalmente per la visione d'insieme, a meno che non vogliamo concentrarci durante momenti importanti della nostra azione quotidiana.

Invece che cosa succede quando noi ci mettiamo di fronte agli audiovisivi (TV, Computer e immagini in generale)? Rimaniamo per lungo tempo focalizzati su particolari dimenticando l'insieme dell'immagine e il suo contesto. E questo stato lo moltiplichiamo nelle tante giornate che compongono il mese e poi l'anno e via discorrendo. La nostra visione si riduce ad una sola interpretazione, che è quella emotivo-sentimentale.

Operiamo in un certo senso una forzatura della natura riducendola ad un piano puramente 'sentimentaloide' dimenticandoci di tutti i suoi contesti come normalmente vissuti. Finiamo col negare la realtà stessa come ci viene proposto, alla fin fine, proprio dai mass-media. L'essere umano è sì sentimento ma non solo. È anche ragione. C'è il pericolo di creare un essere umano-marionetta. Vogliamo ricordare il famoso autore, Collodi, che ha fatto di un burattino, Pinocchio, un vero 'piccolo d'uomo'. Oggi si va all'inverso, facendo delle persone umane dei robot che ricevono degli ordini, degli impulsi, per poter agire. Quindi possiamo essere riconducibili ad un volere che certamente non è più il proprio. E tutto questo nell'illusione di agire nella massima libertà.

 


1c) La nuova cultura

Questa nuova tecnologia ha ridotto i tempi e gli spazi così da far nascere un essere umano bombardato da tante notizie e conoscenze neppure immaginabili fino a poco tempo fa.
La tendenza a non ascoltare, in genere legata alla scarsa formazione individuale, viene esaltata amplificando reazioni del tipo "adesso non siamo più ignoranti perché attraverso la televisione sappiamo tutto".
Ciò che spesso non sanno è che il sapere di oggi è fortemente mediato, da poche persone, i cosiddetti "potenti" o "gatekeeper" (custodi del cancello informativo), che decidono ciò che a loro interessa far sapere agli altri. La stessa globalizzazione ci conferma che possiamo condividere con lingue differenti, culture differenti, etnie differenti... molte maniere di pensare e agire. Non a caso gli stessi prodotti possono essere acquistati nei posti più remoti della foresta Amazzonica , a Roma, a Pechino e in qualsiasi città dell'Africa.
Il prodotto è un segno, un veicolo col quale si trasmettono dei significati e pertanto non è mai spoglio di ideologia. Ma questo tipo di ideologia che influenza ha nell'essere umano?
Il nuovo modo di pensare e di agire tende naturalmente a sovrapporsi a quello del passato mentre, invece, la capacità di saper discernere tra una cultura e l'altra è determinante per garantire una pacifica convivenza.
L'intensificarsi di notizie "apparenti" (perché alcune fanno notizia e altre no), con molti mezzi (ci sono evidenti distorsioni fra i media e la società) per lo più disponibili a tutti, alimenta un essere umano sempre più aperto e insicuro. Un essere che relativizza un po' tutto (aperto) e assolutizza il suo "io" (insicuro). Di conseguenza ciò che conta è la sua esperienza e diminuisce il rispetto per gli ordinamenti e le strutture comunitarie, istituzioni incluse.
Il suo modo di comunicare è una logica non lineare piena di slogan e frasi spezzate. Noi lo definiremo "un linguaggio audiovisivo". La logica di Internet, che è prettamente matematica, si ripercuote soprattutto fra i giovani e anche tra i bambini. La capacità immaginativa delle nuove leve è fra l'altro tanto forte da creare spaccature con le generazioni precedenti. Ciò crea un cosidetto analfabetismo di ritorno, a cui si deve porre rimedio acquisendo e facendo propri i codici e gli strumenti nuovi del comunicare.

Circa l'informazione, ho potuto analizzare in questi ultimi anni, con i miei alunni, i telegiornali più rappresentativi d'Italia e Brasile, ed abbiamo constatato il provincialismo delle notizie - che sono sempre più scarse - a vantaggio di pochi argomenti e personaggi legati alla politica, allo sport o alla musica. Il mondo dei poveri fa notizia solo nella drammaticità mentre la Chiesa è in proporzione quasi assente; a salvare la situazione è soprattutto la figura del Papa.

 


2) Come si rapportano nella nostra vita personale e pastorale

 

2a) Quali le conseguenze nella pastorale

2b) Quali conseguenze nella vita personale

 

2a) Quali le conseguenze nella pastorale

Prendendo spunto dalla mia testimonianza missionaria in Brasile, come responsabile del settore di comunicazione della Conferenza Episcopale del Brasile Regione Nord 2, presento un modello di pastorale in grado di comunicare anche oggi.
La Chiesa in Brasile è sempre più consapevole dell'importanza del valore della comunicazione nell'evangelizzazione e la Pastorale della Comunicazione (PASCOM) è proprio una delle priorità per una strategia di pastorale a tutto campo. A questo proposito, c`é da sottolineare che tutte le iniziative intraprese sono testimonianza dell'urgenza di una comunicazione effettiva delle Chiese locali. A partire dalla Campagna della Fraternità (C.F.) del 1989, la comunicazione ha avuto uno slancio decisivo nella vita della Chiesa in Brasile sebbene all'inizio ci sia stata una certa tendenza a credere che i mass-media fossero la comunicazione. Da questa analisi in poi la specifica azione pastorale si è tradotta in investimenti nei grandi mezzi di comunicazione e nella ricerca di risorse finanziarie. Tale approccio ha creato delle regioni più a vantaggio e altre più a rischio. Il meridione brasiliano, che rappresenta la parte più ricca, può fare dei veri e propri salti qualitativi nella tecnologia della comunicazione rispetto al Nord e al Nord-Est che presenta una situazione più difficoltosa. Ma quale fenomeno avviene in seno alla pastorale?

La Chiesa nel Sud del Paese, cioè la più ricca, dovrebbe favorire l'azione evangelizzatrice perché avendo un maggior numero di mezzi a disposizione e più potere acquisitivo,potrebbe mostrare una dinamica evangelizzatrice potenziata e, di conseguenza, un'incisività superiore nell'apostolato, ampliando così la rispondenza dei fedeli in termini quantitativi e qualitativi. Invece succede esattamente il contrario: maggiori sono i mezzi, più la sfida per combattere l' 'assenteismo' dei fedeli diventa accanita, e questo è un fenomeno che concorre e accomuna le Chiese delle regioni ricche della Terra

Si ripete il fenomeno dei Paesi ricchi e poveri: i primi, avvantaggiati, dovrebbero comunicare di più e invece succede esattamente l'opposto.
La gente diventa disobbediente e segue altri cammini. Ecco allora le fiammate dal "pulpito" per tentare di frenare l'abbandono delle chiese da parte dei fedeli. La mancanza di risultati è in agguato quando si concentrano gli sforzi negli strumenti senza tener conto dell'intero processo di comunicazione, cosicchè la Pascom viene vista come una "altra" pastorale, indipendente dalle altre, in grado di sussistere da sola e di avere un destino a sé stante. Chi si incammina in questa direzione non può evitare la delusione provocata dal fallimento di un'azione evangelizzatrice.

Eppure tale approccio non tiene conto né tanto meno attua lo stesso Concilio Vaticano II, non solo sotto il profilo dei documenti ma anche per quanto riguarda lo spirito di comunione che ha dominato l'evento. Il sapere condividere con gli altri ciò che siamo e che facciamo è tipico di coloro che non pensano solamente a sé ma che stando insieme agli altri fanno l'esperienza della gratuità e della gioia. Secondo me, chi investe nella comunicazione solo ed esclusivamente in termini di strumentazione ha generalmente una forte tendenza individualistica e sotto alcuni aspetti restrittiva.Queste premesse, che hanno come tessuto di fondo non vi è più il Vangelo ma bensì i grandi impresari dei mass-media, rendono assai difficoltosa la comunione e la condivisione e, alla resa dei conti, danneggiano il processo ecclesiale.

La struttura organizzativa di una comunicazione concentrata nei soli mezzi di comunicazione porta a chiudersi rispetto alla possibile partecipazione delle basi ecclesiali e può far perdere di vista l'azione globale capace di promuovere scoperte sempre nuove, animate e incoraggiate dallo stesso Spirito Santo. Può dunque impedire di fare una vera esperienza di Chiesa dove ognuno condivide ciò che ha capito e realizzato, sistema che consente presenza e dinamismo nell'azione Evangelizzatrice.

 


2b) Quali conseguenze nella vita personale

Se da un lato c'è un ottimismo nello sperimentare le nuove scoperte tecnologiche, dall'altro c'è il mettere in discussione lo stesso sapere acquisito. Generalmente c'è uno scollamento tra ciò che facciamo e ciò che professiamo.

Credo che questa incoerenza aggravi le eventuali insicurezze in termini di identità. Così si spiegano anche certe insoddisfazioni nelle nostre scelte di vita e nella nostra stessa vocazione. L'essere umano viene, in un certo senso, frantumato, destabilizzato, dà sempre più spazio alla sperimentazione delle sensazioni forti e rielabora la razionalità a partire dalla stessa emotività. La felicità consiste nel fare ciò che mi sento di fare.
È l'immagine che fa la parte del leone e, pertanto, chi è abituato a comunicare solo con la parola e soprattutto ha una formazione concentrata nella logica dello scrivere, si trova a disagio nell'amministrare i nuovi linguaggi. Ne deriva una sempre maggiore difficoltà nel rapportarsi all'interlocutore se non addirittura la mancanza di comprensione nei suoi confronti.
Da tali frustrazioni scaturisce una certa insoddisfazione nella nostra azione evangelizzatrice che, in alcuni casi, arriva persino a mettere in discussione la vocazione stessa. La non comunicazione, io direi, può essere fatale per la vocazione perché si ha la sensazione di essere privati del respiro,di sentirsi senza vita.
I nostri destinatari, in particolare i più giovani, si sono invece perfettamente adeguati ai nuovi linguaggi o per lo meno ci convivono e ciò comporta un aumento della separazione tra coloro che evangelizzano e gli evangelizzati. Possiamo quindi constatare che il problema sta non tanto nel contenuto ma, nella quasi totalità dei casi, nel modo in cui viene trasmesso.

Le reazioni di pessimismo che molti sacerdoti possono avere in merito ai nuovi linguaggi non devono sfociare in posizioni radicali di ostracismo, in quanto atteggiamenti che certamente non favoriscono il dialogo con le nuove realtà e riducono sempre di più i loro interlocutori. D'altro lato, il prendere l'avvento dei nuovi linguaggi come oro colato è una pretesa benevola ma un po' forzosa. Credo che entrambi gli approcci possano portare a deviare da una corretta lettura della realtà e quindi non aiutare una sana ed animata evangelizzazione.

 


3) Qual'è la nostra conoscenza

 

3a) I documenti della Chiesa

3b) La nostra formazione

 

3a) I documenti della Chiesa

"La Chiesa considera i mass-media come doni di Dio perché uniscono fraternamente tutti gli uomini e così questi possono collaborare con la volontà salvatrice del Signore. Così come lo Spirito ha aiutato gli antichi profeti a decifrare il disegno di Dio attraverso i segni del loro tempo, la Chiesa ci aiuta oggi ad interpretare i segni del nostro tempo, e a compiere la nostra missione profetica che porta con se lo studio, la valutazione e il retto uso delle tecnologie e dei mass-media, che sono diventati fondamentali".(Aetatis Novae 22 del 22/02/1992)
Esistono diversi documenti magisteriali sui mass-media e più in generale sulle comunicazioni sociali. Osserviamo in questi documenti un progressivo rendersi conto della loro importanza nell'evoluzione del mondo e nel campo ecclesiale. Cominciando con la constatazione di una presenza sempre più marcata dei "mezzi" di comunicazione nel mondo, si passa attraverso l'interrogativo del come affrontarli, fino ad arrivare a suggerire iniziative sul come preparare gli utenti per un loro retto uso. Man mano che passano gli anni cresce la consapevolezza che la comunicazione non si riduce ai soli strumenti, ma si configura ad un processo ben più ampio. (Il dato emerge anche nella progressione cronologica di tali documenti). Ecco, per esempio, emergere l'importanza di una liturgia che sia più comunicativa così come la predicazione, poi la necessità di saper gestire il linguaggio gestuale in concomitanza con quello verbale. In questi documenti del magistero vi è un continuo appello a vescovi, sacerdoti, religiosi e laici perché collaborino con questo mondo della comunicazione e preparino gente disposta a lavorare in questi mass-media con una seria formazione 'permanente'. Non si può rimanere estranei o neutri ad una realtà come questa. Nella formazione dei candidati al sacerdozio viene richiesta un'adeguata preparazione al fenomeno comunicativo (Orientamenti per la formazione dei futuri sacerdoti circa gli strumenti della comunicazione sociale in 19/03/1986). Si rileva, tra l'altro, la necessità che le materie specifiche sulla comunicazione sociale facciano parte del curriculum formativo filosofico-teologico. I nuovi sacerdoti devono essere preparati ad essere dei buoni recettori affinché, nel futuro esercizio pastorale, sappiano educare la gente a un retto uso degli stessi e, al contempo, possano farne un valido ausilio dell'apostolato. La preparazione deve essere teorica e pratica. Inoltre c'è un invito esplicito ai sacerdoti e ai religiosi che già si trovano inseriti nel mondo dei media, affinché si specializzino così da poter essere utili non solo all'opera diretta ma pure all'insegnamento delle discipline mass-mediatiche e nella cooperazione o nella direzione degli uffici diocesani o nazionali.

 


3b) La nostra formazione

Una formazione permanente dovrebbe aiutarci a capire e vedere con i giusti occhi la realtà in cui ci muoviamo senza lasciarci cadere in facili ingenuità. Un possibile paragone può essere la persona che, perso qualche grado di vista, deve ricorrere agli occhiali. Con il loro uso incomincia a rivedere normalmente e a riprendere con coraggio la sua quotidianità. Lo studio della comunicazione, paragonabile all'utilizzo degli occhiali, deve aiutarci a capire la realtà, i vari punti di vista presentati, per poi riuscire meglio ad evangelizzare. Quindi saper approfondire sempre più le cose, conoscere meglio l'essere umano e tutta la sua complessità. E, a partire dal processo comunicativo, cercare di interrogarsi sul come si sviluppa la propria azione comunicativa. Imparare che il messaggio non dipende solo da noi, che dobbiamo sapere chi sono i nostri recettori, quali sono le situazioni in cui si trovano, i loro contesti e come ci stiamo preparando a far passare i messaggi. I mezzi che utilizziamo sono i più adeguati per certi messaggi o no? Come formuliamo gli obiettivi e con quali prospettive?
Senza questo tipo di preanalisi si corre il rischio di non riuscire a prepararsi come si deve per comunicare come i "tempi" lo esigono. Abbiamo bisogno di approfondire i nuovi codici linguistici. Il fatto è che il prete deve essere un eccellente comunicatore. Un prete che sa comunicare riesce a comprendere meglio la sua missione e si realizza di più come "professionista"della Chiesa. Nella misura in cui riusciamo a raggiungere gli obiettivi della vocazione e della missione ritengo che si possa essere felici. Afferma un vecchio missionario di 88 anni, tuttora in missione in Amazzonia : "Noi parliamo troppo senza conoscere realmente i nostri recettori, le loro situazioni, condizioni di vita, e il nostro messaggio passa sopra le teste. Parliamo e predichiamo tanto, ma come siamo ignoranti circa le persone a cui ci rivolgiamo".
 

 


4) La nostra risposta come testimonianza per un'efficace evangelizzazione con i mass-media

Il presbitero deve essere un uomo d'azione e contemplazione

Una delle caratteristiche del cattivo impiego delle tecnologie della comunicazione è oggi quello di svuotare in certo senso la persona, renderla incapace di incontrarsi. Crea attorno alla persona delle barriere che impediscono di interiorizzare, conoscersi profondamente e indeboliscono il dialogo con gli altri. Come già emerso, la relativizzazione di ogni cosa porta la persona a rimpiazzare la sostanza con le apparenze e su questa base cerca di costruirsi un suo ruolo, una sua presenza e di dare un senso alla sua vita.
Quindi, oggi, l'essere umano deve cercare di opporsi a quella costante esteriorità che lo porta sempre più lontano da se stesso. E come può fare per riscoprire la propria identità, il suo essere persona a partire dall'interiorità?
Penso che sia necessario creare dei momenti di azione per facilitare la contemplazione. Fin quando la persona non si scopre dal di dentro non può ritovarsi. Nella misura in cui si ritrova può fare pure l'esperienza di Dio. E così diventa più facile realizzare l'incontro con gli altri, confrontarsi e affrontare anche le nuove realtà tecnologiche dando un senso a tutto. Un vescovo dell'Amazzonia mi chiese un giorno con quali criteri andava scelto il sacerdote incaricato di dirigere la pastorale della comunicazione sociale. Senza nessuna esitazione gli dissi: ciò che più importa è che abbia uno spirito attivo e nello stesso tempo contemplativo, cioè intraprendente, agile, dinamico, però in grado di coniugare il tutto con molta orazione e soprattutto con molti momenti di 'deserto'.
È chiaro che questo vale per tutti, in quanto tutti respiriamo un'aria mediatica. È quest'aria potrebbe indebolirci se non prendiamo le dovute precauzione. Credo che mai come oggi abbiamo tanto bisogno di pregare. Io direi che la persona stessa debba essere preghiera, diventando quel tutt'uno che dà la possibilità di agire con la scioltezza necessaria a rendersi liberi.
È lo spirito meditativo che permette di combattere la frammentazione che è tipica conseguenza dell'esplosione tecnologica attuale. Se da un lato scompagina l'essere, dall'altro lo compatta. E da qui nasce la capacità di comunicare veramente. Oggi, nonostante vi siano molti mezzi di comunicazione, non si riesce a comunicare o per lo meno si incontrano molte difficoltà. A testimoniare tutto ciò è l'insoddisfazione di molti giovani, adulti e persino bambini che alle volte con gesti estremi si tolgono la vita o diventono violenti. Ecco allora che questo mondo così bombardato da tanta tecnologia mediatica ci sprona a rivedere la nostra vita , esistenza che non può essere basata sulle interessanti novità dei mezzi di comunicazione ma, bensì, nella ricerca di colui che ci ha plasmati.
In questo modo possiamo fare dei mezzi una realtà vissuta a partire da un'esperienza profonda, che è la preghiera, e così diventare il medium di un messaggio autentico.
Papa Giovanni Paolo II è testimone di una vera e grande comunicazione. Non lo conosco personalmente, però ho la certezza che viva una dimensione contemplativa molto profonda, in quanto tutto il suo essere è comunicativo. Dal linguaggio verbale al gestuale, tutto diventa comunicazione e soprattutto la sua stessa persona è un messaggio costante per tutti. È incoraggiamento per tutti noi a credere che la comunicazione è possibile, a partire sempre dalla persona e non dai mezzi.

 


Orazione del comunicatore

Per concludere riporto un'orazione del comunicatore che io stesso ho scritto: Signore, che scruti il cuore dell'essere umano, vedi le lunghezze d'onda dei nostri mass media che giungono sempre più lontano, mentre noi stentiamo a capirci e a capire l'universo che ci hai messo a disposizione. 

Abbiamo molte difficoltà a riconoscere la tua opera in noi e attorno a noi. Ci prodighiamo attraverso l'ingegno che ci hai donato a creare supporti mediatici sempre più aggiornati e moderni per riconoscerci quali tuoi figli. Ma ci sentiamo impotenti quando questa opera dell'essere umano diventa più importante della tua opera. Ci perdiamo per cui nei meandri della vita che non è la tua Vita. Non vediamo più orizzonti, ma bensì ostacoli che ci fanno paura e quindi pensiamo come combatterli, annientarli. 

E nella misura che scomettiamo solo nel frutto dell'ingegno umano perdiamo la capacità di percepire la tua presenza tra di noi. Aiutaci, o Padre di tutti e di tutto, a non perdere la fonte di ogni sapere e di ingegno che sei TU, ma mantienici stretti a TE, perché ogni mediazione più moderna e sofisticata per poter comunicare possa rispecchiare sempre il tuo progetto che è il TUO REGNO. 

Crediamo sinceramente nella tua opera prima che è l'essere umano, e tutti gli sforzi da lui prodotti per migliorare sempre più la sua comunicazione affinché ci tenga sempre più vicini a Te, vera Vita.

 


Letture suggerite:

Claudio Pighin, Missione e comunicazione, EMI, Bologna 1998. 

Claudio Pighin, Missionari perché, una testimonianza di presenza e preghiera,EMI, Bologna 2001.

 

Textos

Il mondo della comunicazione della comunicazione di fronte alla prima evangelizzazione

L'influsso del Mass-Media e il loro corretto uso

Uomini o macchine?

La spiritualità del comunicatore

Fr. Bernardo Cansi e a catequese

Audiovisiual e catequese

La sfida di Internet

New Humanity

P. Bruno Cosme, Missioni estere di Parigi, Chiesa oggi.

Mensangem ao povo de Deus no CAM2 (Congresso missionário americano)

Apresentaçäo do livro " Homilética e comunicaçäo"Nova Igreja na Amazonia

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