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LA SPIRITUALITÀ DEL COMUNICATORE

Com'è difficile comunicare! È quanto sperimentiamo ogni giorno, soprattutto quando cerchiamo di farci capire. E allora sempre mi chiedo: "Perché non mi ha capito? mi sembrava che la mia esposizione fosse tanto chiara ed evidente....". Ma che cos'è che ci lascia tanto turbati, alla fin fine?
È che ciò che dà senso all'essere umano nella sua quotidianità, è la capacità di comunicare o no. E per coloro che fanno parte della Chiesa c'è un ingrediente in più: la fede, che offre maggiori garanzie per una buona comunicazione tra di noi; una comunicazione senza la fede, cioè, diventa un semplice esercizio che non può andare oltre la tecnica e lo studio razionale.
Noi potremmo dire che è una comunicazione monca, incompleta e cioè riduttiva. Per cui possiamo ritenerci persone fortunate, privilegiate perché abbiamo la fede che viene ad integrare la nostra comunicazione che non è solo ragione o intuito. Per noi comunicatori credenti si richiede quindi una preparazione tanto scientifica quanto spirituale. La dimensione scientifica esige una buona conoscenza teorica e pratica che proviene dalla serie di preparazioni accademiche che la stessa società offre. Circa la spiritualità è quanto mai urgente un'intimità con il nostro Dio che sfocia nella riflessione della Sua Parola, nella contemplazione e nella conoscenza della Tradizione della Chiesa. L'esperienza comunitaria aiuta inoltre a consolidare la testimonianza.
In questo senso l'esperienza della Madre di Gesù, Maria, aiuta a delineare degli orientamenti. Il vero comunicatore che professa la fede ha la capacità di agire e nello stesso tempo di fare contemplazione, azione e contemplazione vanno di pari passo.  


L'ANNUNCIAZIONE
FONTE DI SPIRITUALITÀ PER UN COMUNICATORE


1) Luca 1,26-38: La dimensione contemplativa del comunicare

Maria si trovava in un profondo silenzio contemplativo quando l'arcangelo Gabriele le rivolse la parola. E lei riuscì a dialogare con il messaggero. Le sue parole furono poche, semplici ma al contempo esaurienti. All'inizio dell'incontro, però, si sentì imbarazzata, turbata perché quanto stava accadendo era al di fuori del normale: lei giovane donna, senza ruoli di rilievo nella società, era la destinataria del saluto di una persona straordinaria che le faceva grandi promesse riconoscendole grandi pregi. Lei ne rimase profondamente turbata.
Allora mi domando: noi come possiamo percepire la presenza di Dio nella nostra vita se non siamo capaci di crearci dei momenti di silenzio nella nostra vita quotidiana? Persino le nostre liturgie sono alle volte un po' dispersive e non favoriscono il silenzio evangelico. Il nostro sforzo intellettuale è tentare di immaginare la Madonna immersa dall'interpellazione dell'arcangelo Gabriele. Capire la sua reazione è rivedere tutta la nostra vita quotidiana.
Ma quante volte non sappiamo che cosa fare per rispondere a certi fatti della vita?
Maria, facendosi tutta orecchie, ha cercato di ascoltare attentamente l'inviato di Dio per dialogare meglio. A questo punto ci sorge naturale una domanda : riusciamo a riconoscere gli inviati di Dio nella nostra vita? Dio non ha solo parlato, comunicato in quel tempo e a una sola persona, ma in tutta la storia dell'umanità, perciò anche in questo tempo. Lo stiamo percependo?
Maria riesce a capire meglio la sua vita, la sua storia, a partire dell'incontro con l'angelo. Dio, pertanto, non può essere incontrato fuori della nostra realtà, della nostra vita e dei nostri avvenimenti. Tutta la Bibbia ci conferma che Dio prende per primo l'iniziativa di farsi presente nella vita dell'essere umano. E Maria ha voluto dimostrare tutta la sua consapevolezza riconoscendoNe la presenza attiva nella nostra storia dando quella sublime risposta di fiducia : "Avvenga di me quello che tu hai detto". L'atto contemplativo induce Maria a scrutare nella sua própria vita, ad incontarsi e a scoprire se stessa. Nella sua prima affermazione l'angelo ci fa capire subito che Maria ha intuito che il saluto e il messaggio provenivano da Dio. Vedendo così sembra tutto facile. Quanti hanno provato questo fenomeno comunicativo di un saluto e di un messaggio di Dio? Credo che sia la più grande esperienza che l'essere umano possa fare. La testimonianza di coloro che non riescono a credere è perché non hanno avuto la capacità e la costanza di fare ciò che Maria ha fatto : incarnare la Parola di Dio nella propria vita. Alle volte, però, ci sono anche tra coloro che credono che pensano o pretendono di conoscere Dio solo perché parlano molto bene di Lui, o conoscono alcune sue asserzioni, imparate studiando o ascoltando qualcuno del passato o nel presente. È il pericolo del comunicatore per professione che deve riempire tante pagine, spazi e tempi radio-televisivi, quello di ridursi ad una prolissa verbologia senza fare l'esperienza dell'incontro che apre sempre nuovi orizzonti e prospettive di vita. L'elemento razionale non è garanzia per una vera esperienza di Dio. Infatti riconosciamo che Maria non ha avuto una preparazione culturale di alto livello, come noi diremmo oggi. Ma la saggezza che le proviene dall'alto ci mostra una capacità semiologica straordinaria. Lei ha saputo interpretare i segni che giungono da Dio e così ha accolto il suo messaggio.
Noi sappiamo che c'è comunicazione quando il comunicatore e il recettore si identificano. La grande meraviglia è nel constatare la capacità di Maria di identificarsi con Dio. Il buon comunicatore deve passare per questa esperienza come Maria ha fatto.
Invece sembra il più delle volte una cosa impossibile. Si! Perché sentiamo quanto sia difficile ascoltare o percepire, di fatto, la presenza di Dio nel trascorrere dei nostri giorni. Noi parliamo molto di Dio, ma questa esperienza di Dio è quasi impossibile. Sembriamo come dei veri papagalli che ripetono molto bene ciò che abbiamo appreso, ma non sappiamo realmente il vero senso di tutto ciò.
Dopo il saluto giunto da Dio attraverso l'angelo, e che ha turbato Maria, Dio continua, con il suo intermediario il dialogo, rivelando così pian piano il Suo Progetto con la sua creatura preferita. Con ciò dimostra che quando Dio può entrare nella vita delle persone mai lascia la Sua iniziativa a metà o incompleta. Lui sa dialogare perché ha un'identificazione.
Il comunicatore sa dialogare con gli altri? Che tipo di identificazione cerca?
Ripetiamo che alla base di una vera e buona comunicazione c'è bisogno di una dimensione contemplativa.
L'angelo, nel suo secondo intervento, rivela il progetto di Dio. E Maria prende coraggio ed inizia a presentare una prima richiesta di chiarimenti. Molto semplice e obiettiva, dichiara la sua incapacità di realizzare tale progetto. Così il dialogo va in un crescendo mostrando come Dio, quando agisce, non viene meno ai suoi obiettivi, e la creatura che si affida a Lui non sarà delusa. Per cui Maria, colto al volo ciò, si sottomette all'iniziativa del Signore: "Sono la tua serva". Il comunicatore è colui che dialoga per cercare di capire non solo orizzontalmente la vita che diviene nella storia dell'umanità, ma anche verticalmente. C'è l'intima predisposizione a capire persiono le cose meno comprensibili della nostra vita, alla luce della Parola di Dio?
Come possiamo comunicare, se non siamo capaci di varcare gli orizzonti situati oltre il nostro limitato raziocinio? Se abbiamo una veduta miope delle cose, quale comunicazione possiamo fare? Comunicazione è pure aprirsi all'altro e riconoscere che ci può svelare qualcosa di importante. Inoltre la vera comunicazione è sempre pronta a scoprire il nuovo che sta succedendo.
Questo dà un grande impulso di vita all'essere umano.
Nella Vergine Maria dell'Annuciazione si manifesta la struttura trinitaria dell'autocomunicazione divina: del Silenzio che attraverso la Parola conduce all'Incontro.

 


2) Lc, 1, 39-45: La dimensione antropologica del comunicare

È il comunicare che si manifesta attraverso la modulazione della voce. Noi sappiamo che il 38% della comunicazione avviene con la gradazione della voce umana: il tono, la forza d'emissione, melodia ecc. La voce è un elemento essenziale per colui che desidera migliorare la sua capacità di comunicare con gli altri. Questo perché è lei che ci dà più informazioni del mondo interno del suo interlocutore, portando a galla gli elementi più nascosti della persona e del suo animo. "Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta alle mie orecchie, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo".
È normale chiederci come curiamo la nostra voce? Molte volte rischiamo di non essere noi stessi perché vogliamo imitare gli altri ed in particolare coloro che più ci affascinano. Però abbiamo il bisogno di ricercare sempre di più la nostra personalità, rendendo così visibile il carisma quale proprio dono di Dio. Ma per fare ciò c'è la necessità di conoscerci sempre meglio. Avere una maggiore introspezione, intimità con noi stessi. Scoprire tutta la ricchezza della nostra persona, che non è cosa da poco.
Noi ci conosciamo nel più intimo della nostra natura? Abbiamo intimità con ciò che siamo? Ci conosciamo nella profondità del nostro cuore? Aleggia una certa paura di restare soli, con il nostro silenzio?

La dedizione reciproca e realizzazione sono inoltre alla base della comunicazione dialogica tra Maria ed Elisabetta. È un magnifico incontro che svela attraverso il linguaggio gestuale e verbale quello che pulsa nei loro cuori, dimostrando così tutta l'infinita gratitudine verso il Dio della vita. È la prova che il messaggio di Dio è veramente giunto ai suoi destinatari; è il feed back del processo di comunicazione. Quando avviene una comunicazione non può rimanere statica, ma deve dinamicizzarsi proiettandosi oltre il proprio io.
Come viviamo la nostra comunicazione? Pensiamo solo a noi stessi in modo egoistico o cerchiamo di condividerla con gli altri?
Maria percepisce che Elisabetta l'ha perfettamente compresa senza aver alcun dubbio circa il suo segreto, che non ha voluto raccontare a nessuno. Al contrario si sente umanamente ben accolta, stimata e apprezzata. L'amabilità di questo incontro è l'immagine del comunicare umano soddisfacente. È l'icona di un vero atto comunicativo che potrebbe considerarsi il vademecum di ogni buon comunicatore. Il vero comunicatore scopre sempre qualcosa di buono nell'altro, benché possa sembrare alle volte molto strano o essere considerato un pazzo.
Sappiamo dare umanità alla nostra azione di comunicatori? È accogliente la nostra comunicazione?

 


3) Luca 1,46-55: La dimensione critico-profetica del comunicare

Il canto del Magnificat è la lode a Dio per il suo agire nella storia. La lode è un pilastro fondamentale della prassi comunicativa. Non si può essere degli ottimi comunicatori nella tristezza, col volto cupo, chiudendoci in noi stessi, chiudendo ogni possibilità agli altri, nostri possibili interlocutori. Per esempio, in qual modo viene comunicata la stessa pastorale? È allegra, triste, felice, serena o lamentosa?
Il Magnificat è una dimostrazione dei vari cammini complicati e difficili che la comunicazione può affrontare e l'aspetto positivo che ha nella storia: "tra le generazioni". "Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore..." coloro che non sono capaci di comunicare sono dispersi e mentre "Quelli che sono umili e temono a Dio" sanno comunicare di generazione in generazione: nel cuore dell'uomo Lc. 1,52; nell'ambito politico e sociale Lc. 1,51-53; nel popolo della promessa Lc. 1, 54-55. Questa capacità di comunicare penetra la vita nella sua integrità. Qualsiasi scelta che possiamo fare sempre si rivela riduttiva e incompleta e quindi insoddisfacente. È necessario tener presente che nella nostra ricerca comunicativa manca sempre qualcosa per poterla completamente soddisfare e renderla abbastanza obiettiva. In questo senso il comunicatore che ha una intimità con Dio, come Maria, guarda attentamente in ogni direzione per scoprire attraverso le cose o i fatti, che talvolta forse sono insignificanti alla società, ma che rivelano una grande saggezza nel Piano di Dio. Questi sono i comunicatori della Buona Novella che mettono a punto alternative che i grandi mezzi di comunicazione non hanno la capacità, o non vogliono, vedere o considerare. Oltre tutto un'eccellente comunicazione comporta una buona dose di umiltà, in quanto bisogna tener presente l'aspetto relazionale del processo comunicativo. Una vera comunicazione è sempre aperta per scrutare ogni elemento arricchente che influisce nel cuore umano. La grande saggezza, pertanto, consiste nel riconoscere che siamo sempre alla ricerca di una maggiore conoscenza. Il canto del Magnificat potrebbe essere il nostro canto per diventare speculare nella professionalità comunicativa. L'accoglienza della comunicazione divina da parte di Maria è fondamento della capacità del nostro comunicare nella storia e, pure, l'antecipazione della comunicazione dell'altra vita che ci aspetta e cioè il paradiso.

 


PIETRO E PAOLO
ESEMPI DI FEDE PER UN COMUNICATORE

 

Altri elementi bibblici che possono plasmare una spiritualità al comunicatore sono gli esempi di due grandi protagonisti del Nuovo Testamento e che costituiscono delle vere colonne per la nostra fede: Pietro e Paolo . Due personaggi che presentano comportamenti diversi, però molto importanti per una spiritualità comunicativa.
In Giovanni 21,15-19, dove constatiamo il passaggio nel quale Gesù risuscitato appare agli apostoli, fa una triplice interpellazione a Pietro. (Pietro è grossolano, pescatore. Uomo che avanza e retrocede). In questo episodio, si plasma un intenso momento di preghiera.

Al domandare, per la prima volta, se Pietro lo amava, Gesù, in verità, vuole sapere chi è Lui nella visione di Pietro.

E per il comunicatore, cosa significa il Progetto di Dio? Qual'è il nome di Dio? Nel roveto ardente Lui risponde: "fa' uscire il mio popoìo dall'Egitto".

All'interpellare per la seconda volta, in altre parole, Gesù vuole chiedere 'chi sei tu che dici che mi ami? Che significa amare a Dio? Cosa dice la tua coscienza? Tu sai chi sono io? Qual'è il tuo rapporto con Dio?'

Nella terza volta, la domanda raggiunge un altro livello di comprensione: chi sono gli altri? Sei disposto a condurre le mie pecore? Come è la mia vita con Dio e la mia vita nella scelta dei poveri?

La preghiera perfetta avviene nel rapporto con Dio, con sè e con gli altri, facendo una profonda amalgama. La funzione del pastore è custodire le pecore affinché abbiano pascoli e siano difendese dai lupi.
Ecco allora che il comunicatore non può esimersi da questi passaggi graduali dove si mostra una conoscenza professionale della comunicazione che va di pari passo nel dialogo con Gesù. Un Gesù che interpella e incalza con i suoi quesiti per rendere consapevole di come si radica una comunicazione che va oltre alla semplice notizia o al semplice mezzo. È in questa sfera che si costruisce una spiritualità del comunicatore: ricerca di Dio, della persona e degli altri.

Pietro percepisce che è fragile e la sua risposta si allunga ogni volta di più. Il fatto è che Dio stà guardando a fondo. Alla fine Pietro dà la risposta con la sua vita. Che cosa significa l'amore? È il rapporto di Pietro con i poveri. La vera preghiera concilia la " montagna e strada".

Nella montagna, Gesù vede il volto dei poveri, e nella strada sente la necessità della preghiera dell'intimo incontro con il Padre che chiama Abbà.

Paolo, al contrario di Pietro, è colto, è un cittadino romano, uomo sicuro della sua tradizione, serio, che perseguita e vuole farla finita con il fanatismo di coloro che dicono di essere seguaci di un Gesù che è risuscitato dai morti. Il capitolo nove degli Atti degli Apostoli registra una esperienza significativa nella vita di Paolo. Da molto tempo Paolo era martellato nella sua coscienza dall'attitudine di fede e coraggio dei cristiani davanti alle persecuzioni.
In questo senso, Paolo vive quattro momenti decisivi nella sua vita: il primo momento è quello della caduta.
Cadendo dal cavallo, Paolo cade dal piedistallo della sua autosufficienza. Chi non cade dal cavallo ha dificoltà a capire il progetto di Dio e a comunicarsi con i poveri. Nella sua spiritualità il comunicatore deve stare attento a non cadere in un'autosufficienza paolina. La professionalità del comunicatore il più delle volte lo porta ad avere un ruolo di distacco in una società come la nostra. Il fatto di apparire o di appartenere al mondo mass-mediatico lo lusinga portandolo ad atteggiamenti di superiorità e a credersi quasi onnipotente. Per questo, non si accorge che è sopra un cavallo, al galoppo, mentre gli altri continuano con le loro giumente vanno al passo.
Il comunicatore che cammina in linea retta molte volte non percepisce la realtà che gli sta attorno se non a partire dal suo io. Il professionista della comunicazione deve cadere per terra e cioè farsi più prossimo agli altri in particolare a quelli che non contano nella società. I nostri cavalli, i progetti che ci prefiggiamo per essere sempre più importanti, servono per derubare gli altri sgombrando la strada verso i nostri successi personali. Il Vangelo di Gesù ci interroga su tutto ciò nella sua più cruda quotidianità.
È necessario spogliarsi delle nostre verità e sicurezze che ci facciamo lungo il percorso della vita professionale per essere più attenti alle cose semplici che provengono dal nudo suolo della terra. Paolo si è spogliato delle sue sicurezze.

La seconda esperienza è quella della cecità.
La luce rende cieco Paolo. Per quanto incredibile sembri, alle volte bisogna diventare ciechi per vedere. Chiudere gli occhi per sentire la vita che ci indica cammini nuovi. Gli alti concetti, le idee vaghe ci guidano per sentieri dove non vediamo i cammini costruiti da coloro che ci stanno accanto. Chi non è mai capace di tacere, non può dire niente di nuovo. Chi non si sente mai cieco non potrà vedere. I momenti in cui viviamo tali situazioni ci indicano cammini nuovi. Paolo per tre giorni è rimasto cieco e alla fine del terzo giorno le squame cadono dai suoi occhi. Le sue ultime difese cadono. Il buon comunicatore è colui che è capace togliere ogni difesa per sentirsi trasparente nella sua professionalità.

La terza esperienza è la dipendenza di Paolo.
Paolo non può camminare. È guidato fino a Damasco e lì chiederà ai sacerdoti che cosa deve fare. Mi chiedo se ogni comunicatore avesse l'umiltà storica di domandare allo Spirito e ai poveri che cosa si deve fare? Questa umiltà è fondamentale, a esempio di Gesù che si incontra con una prostituta... "donna dammi da bere!" Anche il dialogo è essenziale per una formazione della persona e per lo stesso esercizio della professione. La prepotenza del comunicatore è pensare e volere che gli altri gli devono tutto, anzi, alle volte, li ricatta perché ritiene che lui può umiliare o esaltare la vita altrui.


La quarta esperienza di Paolo: Saulo-Paolo, rottura e continuità, qualcosa cambia, qualcosa rimane. Tutti stiamo un po' ciechi.

Paolo riconosce che è nella cecità, quando cade per terra, è nella debolezza che si sente forte!
Ogni buon comunicatore ha bisogno di interrogarsi sulla sua vocazione o professione e vedere se è capace di creare delle rotture con certe posizioni di vita che potrebbero togliergli una certa libertà di azione e di interpretazione di ciò che gli sta di fronte. Essere pronto ai cambiamenti che gli possono pure scombussolare la vita, perché Colui che è il Signore della vita lo interpella e gli chiede di rivedere le sue posizioni. Ma per fare questo abbiamo bisogno di creare dei deserti in mezzo ai tanti frastuoni che il mondo delle comunicazioni diffondono. E il deserto che intendiamo non è quello geografico, ma bensì l' "abitare con se stessi sotto gli occhi di Dio", come il monaco Benedetto e Gregorio l'hanno interpretato. Il deserto ha un significato unicamente funzionale, pedagogico; nell'ottica cristiana ciò che giustifica è solo l'amore.
Benedetto e Gregorio ci offrono la cella del cuore già prima di S. Caterina da Siena, come anelito nuovo del deserto è il proprio intimo del cuore. È questa cella del cuore che ci accompagna ovunque, e quindi non è esclusività di nessuno, possiamo metterla in azione ad ogni momento per ritemprarci nella spiritualità.


IL COMUNICATORE TESTIMONIA LA SUA FEDE

 Ciò che oggi condiziona di più l'essere umano non sono tanto i programmi, ma piuttosto le tecniche, il sistema audiovisivo, cioè l'impulsione del raggio di luce e dell'audio che fanno vibrare l'emotività, il genere rapido, emozionale, violento, senza logica, globale. Così ogni fenomeno oggi è prima di tutto segnato e influenzato dalle conseguenze sotterranee della rivoluzione tecnologica. Non solo esiste una "persona audiovisiva", una gioventù cresciuta davanti alla televisione e al computer ma è, dice Pierre Babin, "L'intera società che sta cambiando il suo modo di essere. Alla cultura letteraria di ieri si sovrappone un'altra cultura. E per cultura intendo l'insieme dei mezzi attraverso i quali un gruppo umano risolve i problemi di significato e dei valori dell'esistenza. La vecchia cultura perde forza e potere. Evangelizzare oggi vuol dire evangelizzare una nuova cultura fondata sul potere dell'elettricità e dei mass media". Il linguaggio introdotto dagli audiovisivi si basa soprattutto sulle emozioni trasmesse attraverso la modulazione dei sentimenti, della voce e delle espressioni gestuali. La supremazia della razionalità cede il passo a quella dell'immaginazione, e ci si trova di fronte ad una platea che ha bisogno di vibrare per capire, di partecipare per sentire e di vedere per seguire.
E quindi ci chiediamo come un comunicatore può testimoniare la sua fede nel mondo della comunicazione che abbiamo appena descritto?
Bisogna entrare innanzitutto nella logica della comunicazione e questo significa che la testimonianza non può fermarsi alla spiegazione di contenuti intellettuali, ma più globalmente vuol dire salvare. In termini di comunicazione si può tradurre: stimolare la vita perché sia pienezza di essere. Attraverso i mass-media, ad esempio, testimoniare per solidarizzare con le persone anziane, far giungere una voce esterna a coloro che sono in prigione, far comprendere nuovi orizzonti di felicità. Il comunicatore di fede non può pensare di fare un'azione del tutto isolata, ma deve far partire la sua testimonianza da una comunità cristiana che vive pienamente l'esperienza di Dio. Il comunicatore nel suo cammino spirituale non può pensare che sia sufficiente vibrare alle voci del mondo, ma bisogna vibrare alla voce di Dio: la preghiera del comunicatore è come la ricettività del radar. Pieni dei rumori di questo tempo, bisogna essere capaci di fermarci per guardare a Dio. Ripeto quanto ho detto nelle pagine precedenti che è impossibile produrre qualcosa di valido senza averlo vissuto dentro di sè e poi in un'espansione elettronica far vibrare la propria personalità spirituale di credente.
L'immaginazione è un po' il filtro di ogni agire. L'essere comunicatore di fede non può esimere dal far passare tutto il linguaggio attraverso l'immaginazione. Quindi tutta la sua spiritualità avrà come partner questo potere della mente. Il dialogo mente e spirito daranno luogo pure alla creatività; perché chi può fermare o mettere ostacoli al pensiero! Solo che questa creatività sarà fondata dall'azione dello Spirito Santo e dalla Parola di Dio e confermata nella Chiesa.
È una testimonianza che, passando attraverso una narrazione dal fascino irresistibile, faccia capire al suo destinatario la sua entusiasta generosità e progressiva radicalità nel vivere la sua fede. Egli narra, in prima persona o in nome di un popolo o di intere comunità, racconti di amore che sono racconti di salvezza radicale che interpellano l'umanità sul senso dell'esistenza.
Un altro elemento importante credo sia quello di recuperare i simboli con i loro relativi contenuti per rendere più efficace la testimonianza. L'essere umano contemporaneo ha l'occhio abituato alla simbologia che viene in particolar modo dalla pubblicità e dalla televisione.

Presento ora una orazione che ho inventato e che ritengo opportuno come uso per chi opera nei Mass-Media.
Orazione del comunicatore :
Signore, che scruti il cuore dell'essere umano,e vedi le lunghezze d'onda dei nostri mass-media che giungano sempre più lontano, mentre noi stentiamo a capirci e a capire l'universo che ci hai messo a disposizione. Abbiamo molte difficoltà a riconoscere la tua opera in noi e attorno a noi.
Ci prodighiamo attraverso l'ingegno che ci hai donato a creare supporti mediatici sempre più aggiornati e moderni per tentare di riconoscerci quali tuoi figli. Ma ci sentiamo impotenti quando questa opera dell'essere umano diventa più importante della tua opera.
Ci perdiamo perciò nei meandri della vita che non è la Tua Vita. Non vediamo più orizzonti, ma bensì ostacoli che ci fanno paura e quindi ci riduciamo spesso a come combatterli, annientarli. E nella misura che scommettiamo solo nel frutto dell'ingegno umano perdiamo la capacità di percepire la tua presenza tra di noi. Aiutaci, o Padre di tutti e di tutto, a non perdere la fonte di ogni sapere e di ingegno che sei TU, ma mantienici stretti a TE, perché ogni mediazione più moderna e sofisticata possa rispecchiare sempre il tuo progetto che è il TUO REGNO. Crediamo sinceramente nella tua opera prima che è l'essere umano, e tutti gli sforzi da lui prodotti per migliorare sempre più la sua comunicazione affinché ci tenga sempre più vicini a Te, vera Vita.

 

Textos

Il mondo della comunicazione della comunicazione di fronte alla prima evangelizzazione

L'influsso del Mass-Media e il loro corretto uso

Uomini o macchine?

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La sfida di Internet

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P. Bruno Cosme, Missioni estere di Parigi, Chiesa oggi.

Mensangem ao povo de Deus no CAM2 (Congresso missionário americano)

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