LA
SPIRITUALITÀ DEL COMUNICATORE
Com'è
difficile comunicare! È quanto sperimentiamo ogni
giorno, soprattutto quando cerchiamo di farci capire. E
allora sempre mi chiedo: "Perché non mi ha capito?
mi sembrava che la mia esposizione fosse tanto chiara ed
evidente....". Ma che cos'è che ci lascia tanto
turbati, alla fin fine?
È che ciò che dà senso all'essere umano nella sua
quotidianità, è la capacità di comunicare o no. E per
coloro che fanno parte della Chiesa c'è un ingrediente
in più: la fede, che offre maggiori garanzie per una
buona comunicazione tra di noi; una comunicazione senza
la fede, cioè, diventa un semplice esercizio che non può
andare oltre la tecnica e lo studio razionale.
Noi potremmo dire che è una comunicazione monca,
incompleta e cioè riduttiva. Per cui possiamo ritenerci
persone fortunate, privilegiate perché abbiamo la fede
che viene ad integrare la nostra comunicazione che non
è solo ragione o intuito. Per noi comunicatori credenti
si richiede quindi una preparazione tanto scientifica
quanto spirituale. La dimensione scientifica esige una
buona conoscenza teorica e pratica che proviene dalla
serie di preparazioni accademiche che la stessa società
offre. Circa la spiritualità è quanto mai urgente
un'intimità con il nostro Dio che sfocia nella
riflessione della Sua Parola, nella contemplazione e
nella conoscenza della Tradizione della Chiesa.
L'esperienza comunitaria aiuta inoltre a consolidare la
testimonianza.
In questo senso l'esperienza della Madre di Gesù, Maria,
aiuta a delineare degli orientamenti. Il vero
comunicatore che professa la fede ha la capacità di
agire e nello stesso tempo di fare contemplazione,
azione e contemplazione vanno di pari passo.

L'ANNUNCIAZIONE
FONTE DI SPIRITUALITÀ PER UN COMUNICATORE
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1)
Luca 1,26-38: La dimensione contemplativa del comunicare
Maria
si trovava in un profondo silenzio contemplativo quando
l'arcangelo Gabriele le rivolse la parola. E lei riuscì
a dialogare con il messaggero. Le sue parole furono
poche, semplici ma al contempo esaurienti. All'inizio
dell'incontro, però, si sentì imbarazzata, turbata
perché quanto stava accadendo era al di fuori del
normale: lei giovane donna, senza ruoli di rilievo nella
società, era la destinataria del saluto di una persona
straordinaria che le faceva grandi promesse
riconoscendole grandi pregi. Lei ne rimase profondamente
turbata.
Allora mi domando: noi come possiamo percepire la
presenza di Dio nella nostra vita se non siamo capaci di
crearci dei momenti di silenzio nella nostra vita
quotidiana? Persino le nostre liturgie sono alle volte
un po' dispersive e non favoriscono il silenzio
evangelico. Il nostro sforzo intellettuale è tentare di
immaginare la Madonna immersa dall'interpellazione
dell'arcangelo Gabriele. Capire la sua reazione è
rivedere tutta la nostra vita quotidiana.
Ma quante volte non sappiamo che cosa fare per
rispondere a certi fatti della vita?
Maria, facendosi tutta orecchie, ha cercato di ascoltare
attentamente l'inviato di Dio per dialogare meglio. A
questo punto ci sorge naturale una domanda : riusciamo a
riconoscere gli inviati di Dio nella nostra vita? Dio
non ha solo parlato, comunicato in quel tempo e a una
sola persona, ma in tutta la storia dell'umanità, perciò
anche in questo tempo. Lo stiamo percependo?
Maria riesce a capire meglio la sua vita, la sua storia,
a partire dell'incontro con l'angelo. Dio, pertanto, non
può essere incontrato fuori della nostra realtà, della
nostra vita e dei nostri avvenimenti. Tutta la Bibbia ci
conferma che Dio prende per primo l'iniziativa di farsi
presente nella vita dell'essere umano. E Maria ha voluto
dimostrare tutta la sua consapevolezza riconoscendoNe la
presenza attiva nella nostra storia dando quella sublime
risposta di fiducia : "Avvenga di me quello che tu
hai detto". L'atto contemplativo induce Maria a
scrutare nella sua própria vita, ad incontarsi e a
scoprire se stessa. Nella sua prima affermazione
l'angelo ci fa capire subito che Maria ha intuito che il
saluto e il messaggio provenivano da Dio. Vedendo così
sembra tutto facile. Quanti hanno provato questo
fenomeno comunicativo di un saluto e di un messaggio di
Dio? Credo che sia la più grande esperienza che
l'essere umano possa fare. La testimonianza di coloro
che non riescono a credere è perché non hanno avuto la
capacità e la costanza di fare ciò che Maria ha fatto
: incarnare la Parola di Dio nella propria vita. Alle
volte, però, ci sono anche tra coloro che credono che
pensano o pretendono di conoscere Dio solo perché
parlano molto bene di Lui, o conoscono alcune sue
asserzioni, imparate studiando o ascoltando qualcuno del
passato o nel presente. È il pericolo del comunicatore
per professione che deve riempire tante pagine, spazi e
tempi radio-televisivi, quello di ridursi ad una
prolissa verbologia senza fare l'esperienza
dell'incontro che apre sempre nuovi orizzonti e
prospettive di vita. L'elemento razionale non è
garanzia per una vera esperienza di Dio. Infatti
riconosciamo che Maria non ha avuto una preparazione
culturale di alto livello, come noi diremmo oggi. Ma la
saggezza che le proviene dall'alto ci mostra una capacità
semiologica straordinaria. Lei ha saputo interpretare i
segni che giungono da Dio e così ha accolto il suo
messaggio.
Noi sappiamo che c'è comunicazione quando il
comunicatore e il recettore si identificano. La grande
meraviglia è nel constatare la capacità di Maria di
identificarsi con Dio. Il buon comunicatore deve passare
per questa esperienza come Maria ha fatto.
Invece sembra il più delle volte una cosa impossibile.
Si! Perché sentiamo quanto sia difficile ascoltare o
percepire, di fatto, la presenza di Dio nel trascorrere
dei nostri giorni. Noi parliamo molto di Dio, ma questa
esperienza di Dio è quasi impossibile. Sembriamo come
dei veri papagalli che ripetono molto bene ciò che
abbiamo appreso, ma non sappiamo realmente il vero senso
di tutto ciò.
Dopo il saluto giunto da Dio attraverso l'angelo, e che
ha turbato Maria, Dio continua, con il suo intermediario
il dialogo, rivelando così pian piano il Suo Progetto
con la sua creatura preferita. Con ciò dimostra che
quando Dio può entrare nella vita delle persone mai
lascia la Sua iniziativa a metà o incompleta. Lui sa
dialogare perché ha un'identificazione.
Il comunicatore sa dialogare con gli altri? Che tipo di
identificazione cerca?
Ripetiamo che alla base di una vera e buona
comunicazione c'è bisogno di una dimensione
contemplativa.
L'angelo, nel suo secondo intervento, rivela il progetto
di Dio. E Maria prende coraggio ed inizia a presentare
una prima richiesta di chiarimenti. Molto semplice e
obiettiva, dichiara la sua incapacità di realizzare
tale progetto. Così il dialogo va in un crescendo
mostrando come Dio, quando agisce, non viene meno ai
suoi obiettivi, e la creatura che si affida a Lui non
sarà delusa. Per cui Maria, colto al volo ciò, si
sottomette all'iniziativa del Signore: "Sono la tua
serva". Il comunicatore è colui che dialoga per
cercare di capire non solo orizzontalmente la vita che
diviene nella storia dell'umanità, ma anche
verticalmente. C'è l'intima predisposizione a capire
persiono le cose meno comprensibili della nostra vita,
alla luce della Parola di Dio?
Come possiamo comunicare, se non siamo capaci di varcare
gli orizzonti situati oltre il nostro limitato
raziocinio? Se abbiamo una veduta miope delle cose,
quale comunicazione possiamo fare? Comunicazione è pure
aprirsi all'altro e riconoscere che ci può svelare
qualcosa di importante. Inoltre la vera comunicazione è
sempre pronta a scoprire il nuovo che sta succedendo.
Questo dà un grande impulso di vita all'essere umano.
Nella Vergine Maria dell'Annuciazione si manifesta la
struttura trinitaria dell'autocomunicazione divina: del
Silenzio che attraverso la Parola conduce all'Incontro.
2) Lc, 1, 39-45: La dimensione
antropologica del comunicare
È
il comunicare che si manifesta attraverso la modulazione
della voce. Noi sappiamo che il 38% della comunicazione
avviene con la gradazione della voce umana: il tono, la
forza d'emissione, melodia ecc. La voce è un elemento
essenziale per colui che desidera migliorare la sua
capacità di comunicare con gli altri. Questo perché è
lei che ci dà più informazioni del mondo interno del
suo interlocutore, portando a galla gli elementi più
nascosti della persona e del suo animo. "Ecco,
appena la voce del tuo saluto è giunta alle mie
orecchie, il bambino ha esultato di gioia nel mio
grembo".
È normale chiederci come curiamo la nostra voce? Molte
volte rischiamo di non essere noi stessi perché
vogliamo imitare gli altri ed in particolare coloro che
più ci affascinano. Però abbiamo il bisogno di
ricercare sempre di più la nostra personalità,
rendendo così visibile il carisma quale proprio dono di
Dio. Ma per fare ciò c'è la necessità di conoscerci
sempre meglio. Avere una maggiore introspezione, intimità
con noi stessi. Scoprire tutta la ricchezza della nostra
persona, che non è cosa da poco.
Noi ci conosciamo nel più intimo della nostra natura?
Abbiamo intimità con ciò che siamo? Ci conosciamo
nella profondità del nostro cuore? Aleggia una certa
paura di restare soli, con il nostro silenzio?
La
dedizione reciproca e realizzazione sono inoltre alla
base della comunicazione dialogica tra Maria ed
Elisabetta. È un magnifico incontro che svela
attraverso il linguaggio gestuale e verbale quello che
pulsa nei loro cuori, dimostrando così tutta l'infinita
gratitudine verso il Dio della vita. È la prova che il
messaggio di Dio è veramente giunto ai suoi
destinatari; è il feed back del processo di
comunicazione. Quando avviene una comunicazione non può
rimanere statica, ma deve dinamicizzarsi proiettandosi
oltre il proprio io.
Come viviamo la nostra comunicazione? Pensiamo solo a
noi stessi in modo egoistico o cerchiamo di condividerla
con gli altri?
Maria percepisce che Elisabetta l'ha perfettamente
compresa senza aver alcun dubbio circa il suo segreto,
che non ha voluto raccontare a nessuno. Al contrario si
sente umanamente ben accolta, stimata e apprezzata.
L'amabilità di questo incontro è l'immagine del
comunicare umano soddisfacente. È l'icona di un vero
atto comunicativo che potrebbe considerarsi il vademecum
di ogni buon comunicatore. Il vero comunicatore scopre
sempre qualcosa di buono nell'altro, benché possa
sembrare alle volte molto strano o essere considerato un
pazzo.
Sappiamo dare umanità alla nostra azione di
comunicatori? È accogliente la nostra comunicazione?
3)
Luca 1,46-55: La dimensione critico-profetica del
comunicare
Il
canto del Magnificat è la lode a Dio per il suo agire
nella storia. La lode è un pilastro fondamentale della
prassi comunicativa. Non si può essere degli ottimi
comunicatori nella tristezza, col volto cupo,
chiudendoci in noi stessi, chiudendo ogni possibilità
agli altri, nostri possibili interlocutori. Per esempio,
in qual modo viene comunicata la stessa pastorale? È
allegra, triste, felice, serena o lamentosa?
Il Magnificat è una dimostrazione dei vari cammini
complicati e difficili che la comunicazione può
affrontare e l'aspetto positivo che ha nella storia:
"tra le generazioni". "Ha disperso i
superbi nei pensieri del loro cuore..." coloro che
non sono capaci di comunicare sono dispersi e mentre
"Quelli che sono umili e temono a Dio" sanno
comunicare di generazione in generazione: nel cuore
dell'uomo Lc. 1,52; nell'ambito politico e sociale Lc.
1,51-53; nel popolo della promessa Lc. 1, 54-55. Questa
capacità di comunicare penetra la vita nella sua
integrità. Qualsiasi scelta che possiamo fare sempre si
rivela riduttiva e incompleta e quindi insoddisfacente.
È necessario tener presente che nella nostra ricerca
comunicativa manca sempre qualcosa per poterla
completamente soddisfare e renderla abbastanza
obiettiva. In questo senso il comunicatore che ha una
intimità con Dio, come Maria, guarda attentamente in
ogni direzione per scoprire attraverso le cose o i
fatti, che talvolta forse sono insignificanti alla
società, ma che rivelano una grande saggezza nel Piano
di Dio. Questi sono i comunicatori della Buona Novella
che mettono a punto alternative che i grandi mezzi di
comunicazione non hanno la capacità, o non vogliono,
vedere o considerare. Oltre tutto un'eccellente
comunicazione comporta una buona dose di umiltà, in
quanto bisogna tener presente l'aspetto relazionale del
processo comunicativo. Una vera comunicazione è sempre
aperta per scrutare ogni elemento arricchente che
influisce nel cuore umano. La grande saggezza, pertanto,
consiste nel riconoscere che siamo sempre alla ricerca
di una maggiore conoscenza. Il canto del Magnificat
potrebbe essere il nostro canto per diventare speculare
nella professionalità comunicativa. L'accoglienza della
comunicazione divina da parte di Maria è fondamento
della capacità del nostro comunicare nella storia e,
pure, l'antecipazione della comunicazione dell'altra
vita che ci aspetta e cioè il paradiso.

PIETRO
E PAOLO
ESEMPI DI FEDE PER UN COMUNICATORE
Altri
elementi bibblici che possono plasmare una spiritualità
al comunicatore sono gli esempi di due grandi
protagonisti del Nuovo Testamento e che costituiscono
delle vere colonne per la nostra fede: Pietro e Paolo .
Due personaggi che presentano comportamenti diversi, però
molto importanti per una spiritualità comunicativa.
In Giovanni 21,15-19, dove constatiamo il passaggio nel
quale Gesù risuscitato appare agli apostoli, fa una
triplice interpellazione a Pietro. (Pietro è
grossolano, pescatore. Uomo che avanza e retrocede). In
questo episodio, si plasma un intenso momento di
preghiera.
Al
domandare, per la prima volta, se Pietro lo amava, Gesù,
in verità, vuole sapere chi è Lui nella visione di
Pietro.
E
per il comunicatore, cosa significa il Progetto di Dio?
Qual'è il nome di Dio? Nel roveto ardente Lui risponde:
"fa' uscire il mio popoìo dall'Egitto".
All'interpellare
per la seconda volta, in altre parole, Gesù vuole
chiedere 'chi sei tu che dici che mi ami? Che significa
amare a Dio? Cosa dice la tua coscienza? Tu sai chi sono
io? Qual'è il tuo rapporto con Dio?'
Nella
terza volta, la domanda raggiunge un altro livello di
comprensione: chi sono gli altri? Sei disposto a
condurre le mie pecore? Come è la mia vita con Dio e la
mia vita nella scelta dei poveri?
La
preghiera perfetta avviene nel rapporto con Dio, con sè
e con gli altri, facendo una profonda amalgama. La
funzione del pastore è custodire le pecore affinché
abbiano pascoli e siano difendese dai lupi.
Ecco allora che il comunicatore non può esimersi da
questi passaggi graduali dove si mostra una conoscenza
professionale della comunicazione che va di pari passo
nel dialogo con Gesù. Un Gesù che interpella e incalza
con i suoi quesiti per rendere consapevole di come si
radica una comunicazione che va oltre alla semplice
notizia o al semplice mezzo. È in questa sfera che si
costruisce una spiritualità del comunicatore: ricerca
di Dio, della persona e degli altri.
Pietro
percepisce che è fragile e la sua risposta si allunga
ogni volta di più. Il fatto è che Dio stà guardando a
fondo. Alla fine Pietro dà la risposta con la sua vita.
Che cosa significa l'amore? È il rapporto di Pietro con
i poveri. La vera preghiera concilia la " montagna
e strada".
Nella
montagna, Gesù vede il volto dei poveri, e nella strada
sente la necessità della preghiera dell'intimo incontro
con il Padre che chiama Abbà.
Paolo,
al contrario di Pietro, è colto, è un cittadino
romano, uomo sicuro della sua tradizione, serio, che
perseguita e vuole farla finita con il fanatismo di
coloro che dicono di essere seguaci di un Gesù che è
risuscitato dai morti. Il capitolo nove degli Atti degli
Apostoli registra una esperienza significativa nella
vita di Paolo. Da molto tempo Paolo era martellato nella
sua coscienza dall'attitudine di fede e coraggio dei
cristiani davanti alle persecuzioni.
In questo senso, Paolo vive quattro momenti decisivi
nella sua vita: il primo momento è quello della caduta.
Cadendo dal cavallo, Paolo cade dal piedistallo della
sua autosufficienza. Chi non cade dal cavallo ha
dificoltà a capire il progetto di Dio e a comunicarsi
con i poveri. Nella sua spiritualità il comunicatore
deve stare attento a non cadere in un'autosufficienza
paolina. La professionalità del comunicatore il più
delle volte lo porta ad avere un ruolo di distacco in
una società come la nostra. Il fatto di apparire o di
appartenere al mondo mass-mediatico lo lusinga
portandolo ad atteggiamenti di superiorità e a credersi
quasi onnipotente. Per questo, non si accorge che è
sopra un cavallo, al galoppo, mentre gli altri
continuano con le loro giumente vanno al passo.
Il comunicatore che cammina in linea retta molte volte
non percepisce la realtà che gli sta attorno se non a
partire dal suo io. Il professionista della
comunicazione deve cadere per terra e cioè farsi più
prossimo agli altri in particolare a quelli che non
contano nella società. I nostri cavalli, i progetti che
ci prefiggiamo per essere sempre più importanti,
servono per derubare gli altri sgombrando la strada
verso i nostri successi personali. Il Vangelo di Gesù
ci interroga su tutto ciò nella sua più cruda
quotidianità.
È necessario spogliarsi delle nostre verità e
sicurezze che ci facciamo lungo il percorso della vita
professionale per essere più attenti alle cose semplici
che provengono dal nudo suolo della terra. Paolo si è
spogliato delle sue sicurezze.
La
seconda esperienza è quella della cecità.
La luce rende cieco Paolo. Per quanto incredibile
sembri, alle volte bisogna diventare ciechi per vedere.
Chiudere gli occhi per sentire la vita che ci indica
cammini nuovi. Gli alti concetti, le idee vaghe ci
guidano per sentieri dove non vediamo i cammini
costruiti da coloro che ci stanno accanto. Chi non è
mai capace di tacere, non può dire niente di nuovo. Chi
non si sente mai cieco non potrà vedere. I momenti in
cui viviamo tali situazioni ci indicano cammini nuovi.
Paolo per tre giorni è rimasto cieco e alla fine del
terzo giorno le squame cadono dai suoi occhi. Le sue
ultime difese cadono. Il buon comunicatore è colui che
è capace togliere ogni difesa per sentirsi trasparente
nella sua professionalità.
La
terza esperienza è la dipendenza di Paolo.
Paolo non può camminare. È guidato fino a Damasco e lì
chiederà ai sacerdoti che cosa deve fare. Mi chiedo se
ogni comunicatore avesse l'umiltà storica di domandare
allo Spirito e ai poveri che cosa si deve fare? Questa
umiltà è fondamentale, a esempio di Gesù che si
incontra con una prostituta... "donna dammi da
bere!" Anche il dialogo è essenziale per una
formazione della persona e per lo stesso esercizio della
professione. La prepotenza del comunicatore è pensare e
volere che gli altri gli devono tutto, anzi, alle volte,
li ricatta perché ritiene che lui può umiliare o
esaltare la vita altrui.
La quarta esperienza di Paolo: Saulo-Paolo,
rottura e continuità, qualcosa cambia, qualcosa rimane.
Tutti stiamo un po' ciechi.
Paolo
riconosce che è nella cecità, quando cade per terra,
è nella debolezza che si sente forte!
Ogni buon comunicatore ha bisogno di interrogarsi sulla
sua vocazione o professione e vedere se è capace di
creare delle rotture con certe posizioni di vita che
potrebbero togliergli una certa libertà di azione e di
interpretazione di ciò che gli sta di fronte. Essere
pronto ai cambiamenti che gli possono pure scombussolare
la vita, perché Colui che è il Signore della vita lo
interpella e gli chiede di rivedere le sue posizioni. Ma
per fare questo abbiamo bisogno di creare dei deserti in
mezzo ai tanti frastuoni che il mondo delle
comunicazioni diffondono. E il deserto che intendiamo
non è quello geografico, ma bensì l' "abitare con
se stessi sotto gli occhi di Dio", come il monaco
Benedetto e Gregorio l'hanno interpretato. Il deserto ha
un significato unicamente funzionale, pedagogico;
nell'ottica cristiana ciò che giustifica è solo
l'amore.
Benedetto e Gregorio ci offrono la cella del cuore già
prima di S. Caterina da Siena, come anelito nuovo del
deserto è il proprio intimo del cuore. È questa cella
del cuore che ci accompagna ovunque, e quindi non è
esclusività di nessuno, possiamo metterla in azione ad
ogni momento per ritemprarci nella spiritualità.

IL
COMUNICATORE TESTIMONIA LA SUA FEDE
Ciò
che oggi condiziona di più l'essere umano non sono
tanto i programmi, ma piuttosto le tecniche, il sistema
audiovisivo, cioè l'impulsione del raggio di luce e
dell'audio che fanno vibrare l'emotività, il genere
rapido, emozionale, violento, senza logica, globale. Così
ogni fenomeno oggi è prima di tutto segnato e
influenzato dalle conseguenze sotterranee della
rivoluzione tecnologica. Non solo esiste una
"persona audiovisiva", una gioventù cresciuta
davanti alla televisione e al computer ma è, dice
Pierre Babin, "L'intera società che sta cambiando
il suo modo di essere. Alla cultura letteraria di ieri
si sovrappone un'altra cultura. E per cultura intendo
l'insieme dei mezzi attraverso i quali un gruppo umano
risolve i problemi di significato e dei valori
dell'esistenza. La vecchia cultura perde forza e potere.
Evangelizzare oggi vuol dire evangelizzare una nuova
cultura fondata sul potere dell'elettricità e dei mass
media". Il linguaggio introdotto dagli audiovisivi
si basa soprattutto sulle emozioni trasmesse attraverso
la modulazione dei sentimenti, della voce e delle
espressioni gestuali. La supremazia della razionalità
cede il passo a quella dell'immaginazione, e ci si trova
di fronte ad una platea che ha bisogno di vibrare per
capire, di partecipare per sentire e di vedere per
seguire.
E quindi ci chiediamo come un comunicatore può
testimoniare la sua fede nel mondo della comunicazione
che abbiamo appena descritto?
Bisogna entrare innanzitutto nella logica della
comunicazione e questo significa che la testimonianza
non può fermarsi alla spiegazione di contenuti
intellettuali, ma più globalmente vuol dire salvare. In
termini di comunicazione si può tradurre: stimolare la
vita perché sia pienezza di essere. Attraverso i
mass-media, ad esempio, testimoniare per solidarizzare
con le persone anziane, far giungere una voce esterna a
coloro che sono in prigione, far comprendere nuovi
orizzonti di felicità. Il comunicatore di fede non può
pensare di fare un'azione del tutto isolata, ma deve far
partire la sua testimonianza da una comunità cristiana
che vive pienamente l'esperienza di Dio. Il comunicatore
nel suo cammino spirituale non può pensare che sia
sufficiente vibrare alle voci del mondo, ma bisogna
vibrare alla voce di Dio: la preghiera del comunicatore
è come la ricettività del radar. Pieni dei rumori di
questo tempo, bisogna essere capaci di fermarci per
guardare a Dio. Ripeto quanto ho detto nelle pagine
precedenti che è impossibile produrre qualcosa di
valido senza averlo vissuto dentro di sè e poi in
un'espansione elettronica far vibrare la propria
personalità spirituale di credente.
L'immaginazione è un po' il filtro di ogni agire.
L'essere comunicatore di fede non può esimere dal far
passare tutto il linguaggio attraverso l'immaginazione.
Quindi tutta la sua spiritualità avrà come partner
questo potere della mente. Il dialogo mente e spirito
daranno luogo pure alla creatività; perché chi può
fermare o mettere ostacoli al pensiero! Solo che questa
creatività sarà fondata dall'azione dello Spirito
Santo e dalla Parola di Dio e confermata nella Chiesa.
È una testimonianza che, passando attraverso una
narrazione dal fascino irresistibile, faccia capire al
suo destinatario la sua entusiasta generosità e
progressiva radicalità nel vivere la sua fede. Egli
narra, in prima persona o in nome di un popolo o di
intere comunità, racconti di amore che sono racconti di
salvezza radicale che interpellano l'umanità sul senso
dell'esistenza.
Un altro elemento importante credo sia quello di
recuperare i simboli con i loro relativi contenuti per
rendere più efficace la testimonianza. L'essere umano
contemporaneo ha l'occhio abituato alla simbologia che
viene in particolar modo dalla pubblicità e dalla
televisione.
Presento
ora una orazione che ho inventato e che ritengo
opportuno come uso per chi opera nei Mass-Media.
Orazione del comunicatore :
Signore, che scruti il cuore dell'essere umano,e vedi le
lunghezze d'onda dei nostri mass-media che giungano
sempre più lontano, mentre noi stentiamo a capirci e a
capire l'universo che ci hai messo a disposizione.
Abbiamo molte difficoltà a riconoscere la tua opera in
noi e attorno a noi.
Ci prodighiamo attraverso l'ingegno che ci hai donato a
creare supporti mediatici sempre più aggiornati e
moderni per tentare di riconoscerci quali tuoi figli. Ma
ci sentiamo impotenti quando questa opera dell'essere
umano diventa più importante della tua opera.
Ci perdiamo perciò nei meandri della vita che non è la
Tua Vita. Non vediamo più orizzonti, ma bensì ostacoli
che ci fanno paura e quindi ci riduciamo spesso a come
combatterli, annientarli. E nella misura che
scommettiamo solo nel frutto dell'ingegno umano perdiamo
la capacità di percepire la tua presenza tra di noi.
Aiutaci, o Padre di tutti e di tutto, a non perdere la
fonte di ogni sapere e di ingegno che sei TU, ma
mantienici stretti a TE, perché ogni mediazione più
moderna e sofisticata possa rispecchiare sempre il tuo
progetto che è il TUO REGNO. Crediamo sinceramente
nella tua opera prima che è l'essere umano, e tutti gli
sforzi da lui prodotti per migliorare sempre più la sua
comunicazione affinché ci tenga sempre più vicini a
Te, vera Vita.

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